La chimica dell'astinenza, di Pietro Bariola - di Andrea Peverelli
Sgozzato ogni ricordo,
pietra dopo pietra
- smerigliati labirinti
di carezze antiche e ruggini -
cola un fluido rovente:
le lacrime che amalgamano il marmo.
La poesia si presenta fin da subito sotto una forma particolare: nel giro di tre distici, sei versi in tutto, viene raccontato uno stralcio di vita, come la voce dei binari racconta un breve tratto di tempo tra una stazione e un’altra. Ed ogni segmento di rotaia è ricchissimo di immagini da raccontare, nello stridere del metallo sul metallo: un susseguirsi cadenzato di ritmi binari che costruisce, per accumulo di particolari, l’immagine del titolo. La poesia è dunque come un vetro infranto ricostruito in rewind: i cocci sono infatti le pietre, i ricordi sgozzati e crollati, in un più ampio contenitore che ancora una volta è vetro - i labirinti smerigliati -.
Il velo del metafisico viene così squarciato da qualcosa di prepotentemente fisico e aguzzo, restituendoci l’iconica visione di un piccolo uomo, il poeta che resta anonimo dietro ai suoi versi, che straccia e distrugge a sassate il famigerato Velo di Maya: il quale tuttavia - e qui sta il centro dell’inversione attuata dal poeta - non risiede nell’esterno, nella realtà che si frappone ai nostri occhi contro una metafisica sconosciuta, ma all’interno, è dentro l’occhio stesso, non davanti.
Il poeta guarda dentro di sé, nella propria coscienza e nel proprio spirito, attraverso quei labirinti smerigliati che chiudono come un’ampolla ciò che conta davvero, lasciando che si affievolisca: l’astinenza da qualsiasi pratica interiore provoca ruggine, come un viso che progressivamente si indurisca per la mancanza di carezze a levigarne le curve, per la mancanza di affetto.
L’ultimo distico è una summa perfetta di una poetica che sembra ormai matura - e ai cui frutti siamo in effetti di fronte -.
Un metamorfismo caldo e avvolgente lega tutti gli elementi costitutivi come una molecola, in una catena inscindibile di atomi (la chimica del titolo); ciò tuttavia non avviene in maniera pacifica e distesa, poiché come è lo scontro fra molecole a provocare il calore senza cui il mondo intero sarebbe una massa inerte e fredda, il contrasto in questi versi scolpisce il rivelarsi delle immagini e della vita con esse: dai ricordi (condizione onirica) si passa alle pietre (concretezza), dalle pietre ai labirinti (passaggio inverso concretezza - condizione onirica), dai labirinti alle carezze e alla ruggine (ancora contrasto onirico - concreto), e infine dal fluido alle lacrime, e dalle lacrime al marmo, in un percorso che dall’universale al particolare ci conduce alla condensazione del fluido in solido.
E come se non bastasse a sottolineare il perfetto rapporto “a matrioska” sottinteso in quest’ultimo passaggio, interviene l’effetto inclusivo - sia semanticamente che concettualmente - della parola amalgamano rispetto a marmo, che è inclusa in un abbraccio caldo e liquido nel contenitore del fluido.
Una struttura perfettamente oliata e costruita ad orologeria, ma a colpi di indagine interiore e sensazioni sublimate (ancora la scienza che ritorna nella poesia) in un prodotto amaro che, partendo dalla durezza tagliente delle pietre, e tentando invano di sciogliersi in liquido, si chiude ad anello col marmo, la condizione di fissità dolorosa e aguzza con cui si è partiti.
Andrea Peverelli