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La fraternità di una natura sfuggente e l’anatomia dell’io ne “Le cose piccole non si vedono in auto

Claudio Lamberti esordisce con la raccolta “Le cose piccole non si vedono in autostrada”, Fara Editore, opera premiata al concorso Fara Excelsior 2016.


Pur sinteticamente, con questo intervento, si cercherà di contribuire ad una lettura, per quanto possibile, sistematica e ragionata della sua opera prima, cercando di tracciare gli elementi della poetica dell’autore e del suo stile, per quanto emerge dalla stessa.


La raccolta si divide nelle sezioni “Note”, “Elementi”, “Umani” ed “Essendo”, precedute da un “Prologo” e seguite da un “Epilogo”. Un percorso, dunque, già sistematicamente predeterminato dall’autore.


E a proposito di percorso: già il titolo “lancia” nella tematica del “viaggio”, attraverso il richiamo alla “autostrada”, tematica che viene ripresa sotto diversi profili nell’intera opera. Il viaggio, infatti, prende l’aspetto del dinamismo in senso stretto, applicato alle vicende umane, ma anche a tutto ciò che circonda l’io scrivente: è evidente la ricorrenza di verbi di moto, anche con accezioni piuttosto concitate.


In più di una poesia gli elementi esterni sono presi da un movimento continuo, rapido: “vedo il ponte e la rincorsa / il salto e l’aria / mi percorre”, “luci che corrono / dritte”, “eco che nell’aria corre”, “entra vento”, “clorofilla al vento / vieni via”, “l’ombra e la luce nell’erba / si rincorrono”, “il tempo / sta precipitando”.


È evidente la frequenza del “correre”, che pervade febbrilmente tutto ciò che è esterno al Lamberti; tale reiterazione sembra quasi incorniciarlo in una posizione alienata di osservazione, quasi irrequieta, confermata qui e lì da qualche suggestione di immobilità: “smettetela di correre”, si lascia sfuggire in “Leucosia”, e ancora, in “Sogno di gravità”: “Mi viene voglia / di svenire / in cima alle scale / rotolare / fermo / su marmo”, dove l’aspirazione al dinamismo è assolutamente astratta nella dimensione del sogno, quasi a confliggere con una realtà statica, di immobilismo.


Il Lamberti sembra riconoscersi in una tensione alla lentezza e alla staticità, in un mondo, che lo circonda, che invece non smette di muoversi convulsamente, quasi senza aspettarlo, senza rispettare i suoi tempi: “sappi che amo i silenzi”, dice, e ancora: “Non posso muovermi”, “Cammino lento”, “Prova a muoverti ora”.


Il primo aspetto è pertanto quello del conflitto tra un apparente immobilismo dell’io – e un dinamismo dell’altro-da-sé – in particolare tutto ciò che appartiene alla realtà fisica e naturale. Il secondo aspetto importante che permea l’intera opera, è il rapporto profondo tra gli elementi e i sentimenti umani: c’è una profonda fusione panica nel descrivere elementi naturali con tratti tipicamente umani, con una sensibilità e un’affinità che li avvicina al lettore; allo stesso tempo, gli aspetti umani del soggetto si caricano di elementi oggettivati, fisici, quasi scientifici e anatomici.


Il risultato di tale procedimento è una convergenza dell’uomo e dei fenomeni naturali, che crea uno strano rapporto tra uomini e cose, dove le seconde, umanizzate, sembrano quasi più affettuose e sensibili dei primi, che sembrano cercare conforto dal proprio stato di afflizione: “Mentre l’alba si riposa / a guance strette su di me / … / la notte l’attende / con un canto”, “le mani cingono / spalle tremolanti”, “mentre urlo / nel guard-rail / mi scompongo”, “Mi guarda / leopardo / un mattino blu scuro d’ambizione”.


Ulteriori elementi ricorrenti di questa raccolta sono:


a) il costante rapporto dialettico, nel dettato poetico, della forma io-tu, forse riferita ad una figura femminile, o anche ad un ipotetico lettore: “Guarderemo / mettendo punti a casaccio”, “ti possiedo / ti ho tutta su di me”, “Ti ho creata / a voce muta”, “Se mi urli nella bocca / senti l’eco”, “Al ritmo del non udito / salvami”, “Non so se la paura / o la tua pelle mi domi”, “Rapido / il vento l’asciuga / venendo da te”, ecc.).


Sembra quasi che il Lamberti voglia rendere partecipe il suo “interlocutore” del particolare rapporto che questi ha con la natura, con le cose, con il suo essere in relazione ad esse, che corrono, si inseguono freneticamente, attraversandolo e scambiandosi particolarità sensibili e caratteristiche reciproche, in un gioco di scambi e di rimandi, che vanno dall’inquietudine più agghiacciante alla tenerezza più disarmante.


Il senso di incertezza che nasce da tale esperienza è potenziato ancor di più dal frequente utilizzo di verbi al futuro.


b) Un soffermarsi particolare sugli aspetti acustici e “sonori” dei diversi momenti del viaggio. Molteplici i riferimenti in tal senso, ad esempio: “Sotto un firmamento di perché / di miriadi / di rumori inascoltati”; la presenza costante dell’immagine della “eco”, o di dinamiche che suggeriscono suoni intensi, quasi materiali: “Ho sfondato la finestra col pensiero”, “Urla forte il cielo / fuori” (ancora qui l’anzidetta personificazione).


Conferma questa visione “sonora” l’epilogo della raccolta, che così recita:


Le canzoni sulla via del ritorno

sono le più belle da ascoltare


Creano la condizione ideale

per godere di qualcosa

prima della fine


c) la presenza costante di riferimenti quasi ossessivi per la dimensione fisica dell’anatomia umana. L’uomo è visto nella sua dimensione fisica in modo insistente, e, anche se tale aspetto non viene approfondito, risulta evidente nei passi in cui viene mostrato al lettore: “Semino capelli croste lunule / nel silente carnale viaggio / (teste vene artigli cresceranno) / all’interno di un me a caso”, “il tocco s’espande / su pelli di corpi”, “Non sto correndo / nei visceri / dei figli della Terra”, “Pezzetti di stomaco / vagano nel buio / … / Fette di cervello bagnate / sotto il letto”.


Quello che emerge dalla combinazione di tali elementi è una visione del mondo fragile, travolta dalle dinamiche rapide delle cose e dei tempi moderni, in cui l’uomo, nella sua naturale tendenza alla lentezza, sembra quasi straniato ed alienato, in una natura che ci si sforza di sentire come sensibile e vicina al proprio pensiero, anche se continuamente sfuggente.


In questa dinamica, il Lamberti cerca la complicità del “tu”, che può identificarsi o in una figura femminile, o in un lettore immaginario: in ogni caso l’istanza di contatto con il prossimo, nell’esperienza esistenziale, è un’aspirazione alla condivisione della condizione umana, vissuta con incertezza e fragilità ma anche con desiderio e positività. Questo, pur nel persistente conflitto tra lentezza e velocità, tra uomo e natura, tra l’io interiore e l’altro-da-sé esteriore, tra materialità del corpo e aspirazione spirituale.


Tutto questo viene catapultato nell’ottica del viaggio, allegoria dell’esistenza: si inizia con l’asserzione “Siamo nulla / perciò esistiamo”, per arrivare alla conclusione riportata sopra (“Creano la condizione ideale / per godere di qualcosa / prima della fine”), che dolcemente sembra confortarsi della bellezza dell’esistenza, pur nella consapevolezza della sua limitatezza e della sua inevitabile destinazione.


Lo stile adottato dal Lamberti predilige una forma molto rapida, immediata, con poche sovrastrutture linguistiche o ritmiche: il risultato è una scansione veloce e concitata del dettato, semplice ma non banale, che permette riflessioni e squarci sulle dimensioni immaginative dell’autore; un tanto si concreta in componimenti dai versi molto brevi, franti, con strofe che ondeggiano dal distico e raramente superano la quartina, con una punteggiatura essenziale, spesso assente.


Le sezioni della raccolta confermano quanto detto sinora: il “viaggio” inizia con la sezione “Note”, che circoscrive la sonorità del mondo che circonda l’autore; continua nella sezione “Elementi”, dove il mondo naturale viene vissuto con quel particolare sentimento di interrelazione naturalista e sensibile; continua con la sezione “Umani”, dove si contestualizza e specifica la presenza dell’uomo e il rapporto di esso con gli elementi prima introdotti, e con l’io scrivente; e infine si conclude con la sezione “Essendo”, che conferma l’interdipendenza di tutti gli elementi succitati.


Un’opera d’esordio di sicuro interesse, capace di avvicinare lettori di diversa estrazione ed abitudine: la poesia del Lamberti, infatti, risulta capace di coinvolgere un “casual-reader” così come un lettore più esigente, che troverà, al di là dell’apparenza “semplice”, anche una complessa stratificazione di significati sistematici e di immagini interconnesse.


Un maggiore e più organico approfondimento della particolare poetica di questo autore, a questo punto, è lecito aspettarsi dai prossimi lavori, che sicuramente varrà la pena di seguire con attenzione, per scoprirne la naturale evoluzione.


“Le cose piccole non si vedono in autostrada”: il Lamberti sembra suggerire che la rapidità che coinvolge ogni cosa che ci circonda, in fondo, ci impedisce di fare caso alle “cose piccole”, che non riescono a tenere il passo; cose piccole di cui si riesce ad avvertire la presenza e la preziosa essenza, pur se travolte dalla forza della natura e dall’incedere inarrestabile dell’esistenza, nel momento in cui esse, dissolte e trasfigurate nel mondo che le circonda, sanno dargli un sapore che non appare più crudele e insuperabile, ma quasi fraterno.

Mario Famularo

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