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Come provare la paternità delle proprie opere: l’apposizione di data certa, dal deposito S.I.A.E. al

Abbiamo visto, nel numero precedente, quali sono i diritti morali dell’autore, garantiti dal legislatore italiano, e quali sono i possibili strumenti previsti a tutela di tali diritti.

Abbiamo accennato anche alla circostanza che, al fine di poter attivare la tutela degli anzidetti diritti, sia necessario, preliminarmente, poter provare la paternità delle opere d’ingegno, e, quindi, il fatto che la detta opera sia stata concepita e realizzata in un determinato momento storico da un determinato soggetto specifico.


Naturalmente, le prove ammesse dal nostro ordinamento devono rispondere a criteri di oggettività, di opponibilità a terzi, ed avere un riconosciuto valore legale.

In estrema sintesi, l’elemento principale che bisogna provare, più che la paternità dell’opera, (presunta di diritto, come vedremo infra), è l’esistenza di una determinata opera in una data certa.

Rispetto alla paternità dell’opera, l’articolo 8 l. 633/41 stabilisce una presunzione semplice, in base alla quale l’autore dell’opera è, salvo prova contraria, il soggetto indicato come tale in essa: l’esistenza dell’opera, che indica il soggetto come autore della stessa, prova dunque che egli è l’autore della creazione intellettuale.


Sotto il profilo probatorio, il deposito dell’opera non prova di per sé la paternità della creazione intellettuale, ma l’esistenza della stessa in una data certa.

Dunque, se qualcuno che si dichiara autore di quell’opera non può dimostrare l’esistenza della stessa in una data antecedente, non potrà provare che l’opera sia esistita, in quanto sua, prima di essa, né presumere di diritto che l’opera sia riferibile a lui.

In Italia si possono effettuare diversi tipi di deposito dell'opera, a seconda che sia già avvenuta la prima pubblicazione, ovvero l’opera sia inedita.


Nel caso di opera pubblicata, il deposito si effettua presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dove è istituito un registro pubblico generale delle opere protette tramite il Diritto d’Autore; l’autore, espletando tale formalità, ottiene una prova dell’esistenza dell'opera e del fatto della sua pubblicazione.

Il deposito di inedito, invece, può essere fatto tramite la S.I.A.E., sopportando i costi che la stessa Società richiede per l’espletamento della pratica; lo stesso deposito può essere effettuato anche tramite altri enti, il cui più conosciuto è Creative Commons, con la registrazione di una specifica licenza d’uso (di diversi tipi e con diverse “libertà” per il fruitore: ma qui si apre il discorso “copyright” e “copyleft”, troppo ampio per questa sede).


Il deposito, o meglio una richiesta di affissione di data certa e di protocollo, può essere anche richiesta ad un Pubblico Ufficiale, che certifichi l’identità del richiedente e apponga la data certa all’opera (ad esempio un Notaio, ma, anche se la cosa è poco diffusa, può farlo anche un Cancelliere di Tribunale o un Dirigente di Cancelleria, pagando solo le marche da bollo per la certificazione, come qualsiasi P.U. predisposto delle Amministrazioni Pubbliche, tramite protocollazione).


Naturalmente vi sono altri strumenti che possono provare la data certa dell’esistenza dell’opera, senza la necessità di ricorrere ad un Ente Pubblico o ad una Società depositaria delle opere dell’ingegno.

Una pubblicazione di un’opera all’interno di un’edizione periodica, ad esempio, prova la data certa di esistenza della stessa, ma anche le tesi di laurea conservate negli archivi delle Università dimostrano l’esistenza dell’elaborato, alla data in cui la stessa viene registrata negli archivi dell’Ente.

Adesso analizziamo gli strumenti più semplici per gli autori esordienti, che vogliano tutelarsi precostituendosi una prova di esistenza certa delle proprie opere in una certa data, prima di diffonderla tramite il web o strumenti che la potrebbero rendere modificabile o accessibile al pubblico.


Si può chiedere l’apposizione del timbro postale di data certa sull’opera: quest’apposizione ha infatti valore legale, fintantoché il timbro venga apposto direttamente sull’opera. A tal fine, siccome non è proponibile mettere un timbro su ciascuna pagina, si può semplicemente mettere una fascetta adesiva che racchiuda l’intero documento (sul lato di rilegatura), insieme ad una formula specifica, sul frontespizio dove sono indicati nome dell’opera e dell’autore, di tale tenore: “Io sottoscritto, Nome e Cognome, dichiaro che la presente opera Comesichiama è frutto del mio ingegno, e chiedo l’apposizione del timbro postale per data certa. Dichiaro che il presente documento è formato da tot pagine, inclusa la presente (Nome, Cognome, data e firma).” Il timbro postale sarà apposto sulla fascetta e sulla prima pagina, e avrà valore legale al fine di dimostrare l’esistenza dell’opera in quella data, con la conseguente presunzione di legge di paternità ut supra.



Questa precisazione è importante, perché non basta inviarsi una raccomandata con all’interno il documento che rappresenta l’opera: infatti, il timbro postale riportato sulla busta non certifica in alcun modo l’integrità della stessa e del suo contenuto, e non è riferibile al documento al suo interno. Pertanto, una spedizione del genere, per avere valore legale, deve avere l’apposizione del timbro postale di data certa anche sul documento stesso, direttamente, come appena spiegato.


Con l’avanzare della tecnologia, tale strumento è diventato “obsoleto”: è ancora assolutamente valido, legalmente, ma vi sono modalità ben più semplici ed efficaci.

La PEC (posta elettronica certificata) è, ad esempio, un altro strumento che ha valore legale, e la spedizione tramite PEC, avente lo stesso valore della raccomandata, garantisce l’integrità dell’allegato inviato in data certa (a differenza della raccomandata cartacea). Quindi, inviare una PEC (a sé stessi, anche) con all’interno in allegato l’opera, con una dichiarazione sottoscritta (magari con firma digitale!) e datata di paternità, ha assolutamente valore legale e probatorio. Va però specificato che il gestore (provider) di PEC ha l’obbligo legale di conservare i messaggi di PEC solo per cinque anni dopo l’invio, quindi, a meno che non salviate tutte le PEC (messaggio inviato, ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna) su un supporto ottico, è una prova destinata a sparire dopo un lustro.


Infine vi è la marcatura temporale: questo sistema è una specie di “timbro postale di data certa virtuale”. Trattasi infatti di un procedimento digitale, che permette di inserire, all'interno di qualsiasi file, una stringa di metadati, indicante una data certa. Si tratta quindi di un modo per dimostrare che un determinato file è effettivamente esistito ad una determinata data e ora. (cfr. art. 20, comma 3, Codice dell’Amministrazione Digitale, d. lgs. 82/2005). Inoltre, è tecnicamente impossibile sabotare in qualsiasi modo il sistema di marcatura temporale, che è incorruttibile: l’anteriorità di un deposito non è falsificabile.



In realtà è una cosa che ormai possiamo fare tutti, anche senza il tramite di soggetti esterni; basta dotarsi di un dispositivo di firma digitale e di marcatura temporale, o di una casella PEC, contrassegnare il file con la data certa, e conservarlo come prova in caso di una controversia sulla titolarità dei diritti. Tutte le amministrazioni comunali e le Camere di Commercio dispongono di un servizio di fornitura di firma digitale e di casella PEC per i privati cittadini.


Sistemi come Patamu, Copyzero Online e simili non fanno altro che apporre al posto nostro la marca temporale, e restituirci il file. Sta poi a noi conservarlo e presentarlo come prova al giudice nel caso di controversia legale.


Concludo questo rapidissimo e sintetico excursus con una precisazione importante: i diritti morali dell’autore, di cui abbiamo parlato nel precedente articolo, non nascono nel momento in cui si effettuano queste formalità di (pre)costituzione probatoria; per il nostro ordinamento, essi sono connaturati all’atto creativo, e, dunque, nascono in capo al soggetto/autore nello stesso momento in cui egli concepisce la propria opera.


Naturalmente, in un contenzioso sulla paternità d’opera, è necessario poter provare le proprie affermazioni: non potrebbero mai bastare mere allegazioni verbali, così come sarebbe impossibile dimostrare l’avvenuta concezione dell’opera nella mente del nostro ipotetico autore; gli strumenti necessari, come visto, devono fondarsi ed attenersi alla realtà materiale e ad un oggettivo e concreto riscontro, avente valore legale, opponibile ai terzi, e non soggetto al rischio di falsificazioni.


Avv. Mario Famularo

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