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Alcuni (falsi) luoghi comuni sulla seconda guerra mondiale - di Giuseppe Sorrentino

La seconda guerra mondiale è forse il periodo storico di cui più si discute, nonché più radicato nell’immaginario collettivo; questo, forse, per via del fatto che si è svolta nella nostra storia recente, o forse per via del grande impatto che ha avuto sulla storia mondiale. Il gran parlarne però non ha impedito che nelle menti di molti si radicassero alcuni concetti errati, frutto a volte di disonestà intellettuale, altre di semplici errate interpretazioni. In questo articolo ne tratterò alcuni.


Panzer


Nulla come la parola “Panzer” fa venire in mente la seconda guerra mondiale: spesso tale termine viene usato nella lingua comune per descrivere qualcosa, o qualcuno come massiccio, inarrestabile, potente.

Moltissime persone, se interrogate in merito, vi diranno che i panzer erano i carri più corazzati e meglio armati, della seconda guerra mondiale. Tale concezione dell’arma corazzata nazista è errata, almeno in parte.

I tedeschi iniziarono la seconda guerra mondiale con mezzi che, in quanto a corazza ed armamenti, erano assolutamente inferiori a molti di quelli schierati dagli avversari.

Un esempio di ciò che sostengo è il carro leggero Panzer II: questo modesto veicolo fu il carro più impiegato nella vittoriosa campagna di Polonia, dotato di un cannoncino a tiro rapido da 20mm e di un corazza frontale di 15mm.



FIG.1 - Panzer II sfilano in parata a Norimberga.

La mancanza di un cannone controcarro lo metteva in netta inferiorità contro molti dei carri leggeri schierati dagli eserciti avversari, perfino il carro polacco 7TP era dotato di un cannone da 37mm, per non parlare delle serie T e BT sovietiche.

Nelle campagne successive, il carro più impiegato dai nazisti fu il Panzer III che, in quanto a corazza ed armamento, era pari se non superiore ai pariclasse avversari occidentali, ma nettamente inferiore in ogni campo al T-34 russo; inoltre i nazisti non avevano un equivalente dei carri pesanti, schierati da inglesi e francesi, ossia i Matilda e i Char 1-B.

Questi due carri pesanti avevano corazze impenetrabili dalle armi dei panzer in servizio all’epoca, inoltre erano meglio armati (il francese Char 1-B era dotato di ben due cannoni).

I tedeschi, dopo il ’43, iniziarono a schierare carri sempre più armati e meglio corazzati, fino a realizzare i due “pesi massimi” del conflitto, ossia il Tigre Reale (68 tonnellate, un cannone da 88mm e corazza da 160mm) e lo Jagtiger (78 tonnellate, un cannone da 128mm e corazza da 250mm).

Questi modelli di carri armati, però, vennero prodotti in numero molto esiguo (meno di 600 esemplari di entrambi); inoltre va considerato che i carri sovietici pesanti non erano molto meno armati e corazzati.

Il confronto tecnico tra panzer e carri russi rimase, tranne che all’inizio del conflitto, quando i sovietici erano in netta superiorità, sempre molto equilibrato.

In breve: il successo dei panzer non fu dovuto tanto alla potenza dei mezzi, ma ai moderni criteri d’impiego, all’organizzazione e all’addestramento avanzato, tipici dell’esercito tedesco dell’inizio del conflitto, oltre che alle nette mancanze dei loro nemici in questi campi.


Le portaerei e il Giappone


Parlando di portaerei e di seconda guerra mondiale vengono in mente i piloti giapponesi e in particolare Pearl Harbor: sicuramente in molti sono convinti che il Giappone ha sempre tenuto al centro dei propri piani lo sviluppo di tale tipologia di nave e di guerra navale. Ciò è errato.

L’alto comando giapponese è sempre stato molto combattuto sull’ipotesi di abbandonare le corazzate in favore delle portaerei; questo era dovuto al fatto che il Giappone è sempre stato un paese ferocemente tradizionalista, spinto a studiare nuove tattiche e strategie più dagli accordi internazionali, che limitavano il tonnellaggio militare, piuttosto che dalla ricerca dell’innovazione.

Inoltre, quasi tutti gli alti ufficiali a favore delle portaerei erano molto mal visti per motivi di natura politica: spesso si trattava di uomini che avevano studiato proprio negli USA, tornati in patria con idee molto precise sulla guerra moderna, oltre che con convinzioni politiche che mettevano in discussione il nazionalismo esasperato ormai imperante in Giappone.

Per motivi politici, quindi, la corrente a favore delle corazzate rimase abbastanza influente da dirigere buona parte dei fondi verso la costruzione di navi tradizionali e al terribile spreco che furono le due “super corazzate” Yamato e Musashi (le più grandi navi da battaglia mai varate, con quasi 70.000 tonnellate di stazza). Questo portò a realizzare buona parte delle portaerei convertendo, o in costruzione o successivamente, scafi inizialmente destinati a essere incrociatori o navi da battaglia: basti pensare che metà delle portaerei che attaccarono Pearl Harbor erano incrociatori riconvertiti.



FIG.2 - La portaerei Kaga, tra le navi che parteciparono al raid su Pearl Harbor, poteva trasportare 72 aerei, ossia meno di quanto potesse una nave equivalente americana, che poteva arrivare anche a 100.


Questo, ovviamente, penalizzava l’efficacia della nave, diminuendone il carico di aerei trasportabili e aumentandone la vulnerabilità ai colpi nemici.


La motorizzazione dell’esercito nazista


Pensando all’esercito nazista viene sempre in mente un’armata efficiente, motorizzata e molto mobile: in realtà tutto ciò non corrisponde al vero.

L’esercito tedesco iniziò la seconda guerra mondiale dopo un riarmo molto veloce, che però non riuscì a colmare tutte le lacune che una simile operazione inevitabilmente lascia.

Il grosso delle divisioni tedesche ebbe come principale fonte di locomozione, a volte perfino unica, il cavallo.



FIG.3 - La logistica non sempre efficiente dei tedeschi si affidava spesso al trasporto animale.


Pare che non più del 30% dell’esercito tedesco fosse completamente motorizzato: ciò significa che solo le divisioni panzer erano dotate esclusivamente di mezzi a motore per il trasporto; perfino le divisioni motorizzate o panzergranadier erano costrette a ricorrere, seppur parzialmente, ai muscoli dei cavalli.

In breve: l’esercito tedesco rimaneva, a dispetto degli sforzi fatti, un esercito “vecchio” ma, del resto, solo gli anglo-americani potevano vantare una perfetta motorizzazione delle proprie forze armate, oltre ad avere una logistica in grado di sostenerne l’esosa domanda di carburante.


La purezza razziale delle SS


Pensando alle SS, vengono in mente campi di sterminio e i deliranti discorsi nazisti sulla purezza raziale: se sul primo punto c’è poco da discutere, va detto che sul secondo la situazione si fa più complessa.

I reparti combattenti delle SS, ossia le Waffen-SS, furono a conti fatti il primo esercito europeo moderno, reclutati in ogni nazione del nostro continente. A qualcuno questa affermazione potrebbe dar fastidio, ma di fronte ai fatti c’è poco da discutere.

Inizialmente, le Waffen-SS erano reclutate solo tra i tedeschi su base volontaria: la Wehrmacht infatti ne osteggiava l’ampliamento, impedendo l’afflusso di reclute proveniente dalle leve obbligatorie, oltre a fornirgli solo materiale bellico di scarto o di preda bellica.

Himmler, il gerarca che comandava tutte le SS, avrebbe voluto espandere il più possibile il suo esercito, ma le perdite e la mancanza di sufficienti volontari lo frenavano; così pensò di aggirare il blocco dell’esercito regolare, reclutando volontari stranieri.

Inizialmente, le Waffen-SS vennero reclutate solo tra i popoli di etnia germanica o scandinava, ma con il proseguire della guerra non si fecero più distinzioni.

Farò seguire una lista dei popoli che contribuirono con volontari all’allargamento delle Waffen-SS:


  • Albanesi (circa 16.000)

  • Armeni (circa 20.000)

  • Belgi (tra Valloni e Fiamminghi circa 25.000)

  • Bielorussi (circa 18.000)

  • Britannici (circa 100)

  • Bosniaci (circa 30.000)

  • Bulgari (circa 300)

  • Calmucchi (circa 5.000)

  • Cechi (circa 6.000)

  • Cosacchi (circa 40.000)

  • Croati (circa 12.000)

  • Danesi (circa 6.000)

  • Estoni (circa 18.000)

  • Finlandesi (circa 3.000)

  • Francesi (circa 9.000)

  • Georgiani (circa 9.000)

  • Greci (circa 800)

  • Indiani (circa 3.000)

  • Italiani (circa 20.000)

  • Kirghisi (circa 4.000)

  • Lettoni (circa 40.000)

  • Lituani (circa 5.000)

  • Norvegesi (circa 10.000)

  • Olandesi (circa 45.000)

  • Rumeni (circa 8.000)

  • Russi (circa 75.000)

  • Serbi (circa 5.000)

  • Sloveni (circa 4.000)

  • Spagnoli (circa 1.500)

  • Svedesi (circa 1.000)

  • Svizzeri (circa 100)

  • Tatari (circa 7.000)

  • Turkmeni (circa 15.000)

  • Ucraini (circa 200.000)

  • Ungheresi (circa 50.000)

  • Uzbeki (circa 4.000)

  • Etnie musulmane varie del Caucaso (circa 40.000)



FIG.4 – Volontari albanesi delle SS


Degno di nota è rimarcare il fatto che una delle ultime unità ad arrendersi a Berlino fu un battaglione di SS francesi, ormai ridotti a meno di 20 uomini.


L’efficienza della ricerca scientifica nazista


La ricerca scientifica nella Germania nazista, a dispetto di quel che si crede, fu incredibilmente inefficiente.

Innegabili sono i suoi progressi in campi quale l’aviazione (primo aereo a reazione) o gli innovativi sistemi sviluppati per gli U-boat o i Panzer; tuttavia vi fu uno spreco di risorse ed errori concettuali notevoli.

Nel III Reich non esisteva una ricerca unica e coordinata: fondamentalmente, le varie industrie erano spinte a competere le une con le altre, mentre il governo centrale lanciava direttive generiche e richieste da soddisfare, creando alcune situazioni paradossali.

Spesso le industrie rivali continuavano ad investire tempo e denaro nel ricercare e sviluppare le stesse classi di armamenti, anche dopo che le forze armate avevano scelto modelli dei rivali.

Clamoroso fu il caso del carro pesante Tigre. Le ditte che si presentarono furono due: la Henschel e la Porche. La scelta ricadde sul modello della Henschel, giudicato più economico da produrre ed affidabile; peccato però che la Porche fosse così convinta di vincere, che aveva già iniziato a produrre ben 90 dei propri carri, che fu costretta poi a riconvertire in altri modelli, con risultati molto scadenti.

Situazione simile si ebbe con lo sviluppo dei primi caccia a reazione: venne scelto il Messerschmitt, ma le altre ditte continuarono a sviluppare il proprio caccia.

Il risultato fu quindi una dispersione delle energie e delle risorse; i tedeschi quindi si ritrovarono, paradossalmente, ad avere così tanti progetti validi in campo da non avere la possibilità di svilupparli tutti a dovere, senza poterli produrre in numero adeguato.

Inoltre: a volte i gerarchi che stabilivano i criteri tecnici sceglievano coscientemente di sabotare i progetti in cui non credevano. Ad esempio, i tedeschi scesero in guerra senza un bombardiere pesante, perché i vertici della Luftwaffe fecero di proposito richieste tecniche assurde e impossibili da soddisfare, con il risultato che nessuna ditta riuscì ad accontentarle.

Questo senza parlare delle ricerche più strampalate che vennero finanziate come: cannoni elettromagnetici in grado di far saltare i bulloni degli aerei nemici, super cannoni in grado di sparare dalla Francia verso l’Inghilterra, o le “fortezze terrestri mobili”, ossia dei carri da centinaia di tonnellate, usciti dalla mente di Hitler; in breve tutte idee degne di un manga.



FIG.5 – Il super cannone V3 avrebbe dovuto colpire l’Inghilterra sparando dalle coste francesi. L'idea del tipo di cannone può essere fatta risalire al barone Guido Von Pirquet, che studiò il sistema di alloggiamenti laterali che, se attivati in giusta sequenza, riescono a dare al proiettile la giusta velocità. Tuttavia il cannone non venne mai ultimato a causa di sabotaggi e problemi insiti nel progetto stesso.


Pearl Harbor


Pensando a Pearl Harbor, tutti sappiamo che l’obiettivo principale dei giapponesi erano le portaerei americane e che il loro mancato affondamento costò ai nipponici la sconfitta nella guerra.

In realtà, la grande occasione mancata per i giapponesi non fu tanto l’affondamento di quelle navi che, a lungo termine, non avrebbe cambiato molto, considerata la capacità produttiva americana.

Se i giapponesi infatti avessero colpito la base navale in sé le conseguenze, per gli statunitensi, sarebbero state molto peggiori.

Distruggendo i serbatoi di carburante e i bacini di carenaggio, la base sarebbe stata inservibile e la flotta americana si sarebbe dovuta ritirare fino a San Francisco, ossia così lontana da non poter più intervenire nella guerra.

Quanto sarebbe durata questa situazione?

Va tenuto conto che soprattutto i bacini di carenaggio erano strutture molto delicate e di difficile riparazione: a seconda dei danni subiti ci sarebbero potuti volere mesi, se non addirittura anni, per rimettere la base in piena efficienza.

Non va dimenticato che Pearl Harbor doveva poter sostenere il traffico di decine di navi da guerra di grosse dimensioni.


Italiani “traditori”


Non ci fa onore, ma purtroppo noi italiani non abbiamo finito neanche una delle due guerre mondiali con gli stessi alleati con cui l’abbiamo iniziata; la nomea di traditori però divenne indelebile dopo il settembre del ’43, quando, con un voltafaccia eseguito in pieno stile Savoia, passammo dall’Asse verso il campo degli Alleati.

Tuttavia, non fummo gli unici che nel secondo conflitto mondiale “ritrattarono” il proprio rapporto con i nazisti:


  • I finlandesi: la Finlandia riconsiderò la propria alleanza con la Germania già negli ultimi mesi del ’41, quando l’offensiva combinata con i tedeschi le permise di riconquistare i territori ceduti all’Unione Sovietica. Il rancore per essere stati abbandonati dai tedeschi durante l’invasione russa e la poca fiducia nella vittoria della guerra, fece sì che gli scandinavi preparassero la loro uscita dall’Asse sin dal momento in cui vi entrarono. Quando poi nel ’44 la situazione per i tedeschi degenerò, i finlandesi si accordarono con i russi e passarono dalla loro parte.

  • I rumeni: Analogamente alla Finlandia, anche la Romania passò con i russi non appena questi giunsero alle proprie frontiere.

  • I bulgari: I bulgari non contribuirono per nulla allo sforzo militare dell’Asse: l’unica cosa che fecero nel corso della guerra fu presidiare piccole regioni di Jugoslavia e Grecia, ottenute permettendo alle divisioni tedesche di passare per il proprio territorio nazionale. Quando la Romania abbandonò l’Asse, i bulgari prima aspettarono di ricevere un centinaio di panzer donati dai tedeschi, e poi si unirono ai russi.

  • Gli ungheresi: Anche l’Ungheria cercò di passare coi russi non appena la situazione parve senza speranze: purtroppo per loro, però, i tedeschi schieravano sul territorio varie divisioni panzer e, inoltre, si aspettavano il tradimento: quindi con un audace colpo di mano riuscirono a sventarlo e instaurarono un governo fantoccio.


Inspiegabilmente la storia fu più severa nel giudizio su di noi.


Italiani “brava gente”


Parlando dell’occupazione nazista dell’Europa, spesso si sottolineava come noi italiani fossimo più graditi dai popoli invasi e che la nostra occupazione fu priva dei massacri e delle vessazioni tipiche dei tedeschi.

Questo è vero solo in parte e pretendere di uscirne “puliti”, solo perché c’è chi ha fatto cose peggiori, è puerile.

Per chi ha dei dubbi, cito solo l’occupazione italiana del Montenegro; in questa regione della Jugoslavia, gli italiani non furono da meno dei loro colleghi tedeschi: fucilazioni indiscriminate, bombardamento di villaggi, razzie, saccheggi, stupri, fosse comuni, non ci siamo fatti mancare nulla.

Il generale Pirzio Biroli, il comandante delle forze di occupazione, emanò editti come quello in cui ordinava la fucilazione di 50 civili per ogni italiano ucciso e 10 per ogni ferito.

Casi simili si sono registrati anche in Grecia ed Albania: in quest’ultimo paese, in particolar modo, si ricorse perfino ad affamare alcune zone del paese, per meglio poterle pacificare.

Del resto non capisco lo stupore di alcuni: le armate italiane si erano “ferrate” nel campo già con la pacificazione della Libia, con la guerriglia etiope, ove avevano applicato le lezioni apprese in casa, massacrando i meridionali dopo l’unità d’Italia (invito a informarvi su banditi come Cialdini, su Fenestrelle, Pontelandolfo, Pietrarsa etc.).

Rimando agli adolescenti ogni genere di confronto sui numeri delle vittime degli italiani, o dei tedeschi, o dei russi, o degli americani o di qualsiasi altra nazione colonialista e/o coinvolta nel conflitto.

Personalmente ritengo che se ci si vuole fregiare del titolo di “brava gente” NON si può avere un curriculum come il nostro: quindi dovremmo tutti scendere dal piedistallo e, con umiltà, accettare i nostri errori, perché è l’unico modo per non ripeterli.


Giuseppe Sorrentino


Bibliografia


[1] Davide Conti, L'occupazione italiana dei Balcani. Crimini di guerra e mito della «brava gente» (1940-1943), Roma, Odradek, 2008

[2] G.Markham, Armi del III Reich, La Spezia, Fratelli Melita Editori, 1992

[3] Istituto De Agostini, Armi della Seconda Guerra Mondiale, Novara, 1979

[4] Franḉois Duprat, Le campagne militari delle Waffen SS, Milano, Ritter s.a.s.,2000

[5] Icks Robert J., Tanks and Armored Vehicles 1900-1945, Curcio Periodici S.P.A., 1972

[6] Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell'Italia fascista in Europa (1940-1943), Torino, Bollati Boringhieri, 2003

[7] Gino Galuppini. La portaerei: storia tecnica e immagini dalle origini alla portaerei atomica. Arnoldo Mondadori Editore (1979)

[8] Millot, Bernard, La guerra del Pacifico, BUR, Milano, Rizzoli [1968], 2002

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