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Onar: la natura dei sogni - di Claudio Lamberti

"L’uomo ha in comune con pochissimi mammiferi superiori il curioso privilegio della cittadinanza di due mondi; egli, infatti, incontra ogni giorno alternativamente due distinti tipi di esperienza, ciascuno con la propria logica e i propri limiti, e non ha ragione di ritenere l’uno più valido dell’altro. Il mondo dello stato di veglia ha, sì, certi vantaggi di concretezza e continuità, ma le sue possibilità sociali sono assai ristrette: vi incontriamo soltanto i nostri conoscenti, mentre nel mondo dei sogni si possono avvicinare, sia pure di sfuggita, gli amici lontani, i morti, gli dèi; normalmente è l’unica esperienza che ci sottrae alla tirannia penosa e incomprensibile del tempo e dello spazio".


L’essere umano ha da sempre tentato di dare una spiegazione razionale alla natura dicotomica e irrazionale dei propri ritmi giornalieri. I Greci, queste esperienze, le chiamavano ùpar e ònar: veglia e sogno. In particolare, il sogno ha affascinato la mente umana e continua tutt’ora ad affascinarla, come una madre che mira un proprio figlio stupefatta ed interrogativa: è generante, ma al tempo stesso ingenuamente obliata. Nelle prime fasi del pensiero umano, si riteneva che il sonno fosse una condizione normale di tutte le creature senzienti, dal momento che un animale (inteso come essere dotato di “anima”) non può fisicamente sostenere le funzioni vitali senza operare una stasi, un recupero delle energie; invero, non può sostenere nemmeno una perenne interruzione delle stesse. A formulare questi concetti è stato Aristotele, nella sua opera De somnio et vigilia, gettando le basi per studi futuri. Lo stesso Aristotele, circa i sogni, si esprimeva così: “Bisogna quindi esaminare come e in che modo si produce il sogno. Resti stabilito, e ciò è del resto evidente, che il sognare è un’affezione della facoltà sensitiva, se è vero che lo è anche il sonno, perché non ad una facoltà degli animali appartiene il sonno, a un’altra il sognare, ma alla stessa.” Il filosofo parla dunque di “facoltà sensitive” che si esprimono durante la seconda delle esperienze, l’Onar, facoltà che divengono addirittura più ampie, consentendoci di premonire condizioni di salute o azioni dell’Io in veglia. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, Aristotele è voce fuori dal coro rispetto alla tradizione più prettamente religiosa, che vuole il sogno un viatico per gli Dei nella comunicazione all’uomo delle loro scelte (tramite i cosiddetti theopempta): egli infatti riteneva essere molto più saggio, più divinamente concepibile che un Dio inviasse proprie cognizioni all’uomo durante il giorno, con cura per la scelta dei destinatari.


Omero, in particolar modo, ci ha fornito, tramite i suoi scritti, innumerevoli esempi di sogni divini, attribuendo anzi ad essi un significato cruciale, poiché mezzi per il corretto compimento delle azioni dell’uomo. Distaccandoci dalla storia greca, possiamo citare un passo del Nuovo Testamento, in cui un angelo appare a Giuseppe per avvertirlo della strage imminente di re Erode, e permettergli di salvare Gesù bambino fuggendo in Egitto. Possiamo anche ricordare il sogno dell’imperatore romano Costantino, lo “in hoc signo vinces” che avrebbe mosso il sovrano alla vittoria della battaglia di Ponte Milvio, e all’ammorbidimento delle posizioni nei confronti dei non-pagani seguaci di Cristo. Il sogno si è impossessato poi dell’arte, e gli esempi qui sarebbero davvero troppi: basti pensare a Salvador Dalì, pittore novecentesco, che incaricava una persona di svegliarlo appositamente durante la notte, per consentirgli di imprimere su tela in maniera immediata i sogni che faceva.


Ovviamente, la sfera onirica è stata oggetto di studi scientifici. Non si può prescindere dal considerare il lavoro del dottor Sigmund Freud, padre della psicanalisi, che nell’opera forse più nota, L’interpretazione dei sogni, dimostra, adducendo casi studiati a sostegno delle sue tesi, che i sogni sono l’appagamento di desideri inespressi e, in modo più vasto, l’irruzione entro i confini dell’Io pensante di un mondo chiamato inconscio, da noi neanche percettibile durante le nostre esperienze. Freud ha letteralmente fondato una scienza, e scardinato la medicina dell’epoca dalle sue sterili convinzioni, di fatto aprendo il dibattito neuropatologico a nuovi orizzonti. Tutt’ora, però, la fisiologia resta legata al fatto empirico, ossia che i sogni sono il frutto di libere associazioni della neocorteccia del cervello, di fatto relegando le teorie freudiane ai margini e affidando all’iniziatore della psicologia la paternità di un errore presunto.


Abbiamo parlato di neocorteccia, ma i responsabili delle immagini oniriche, all’interno della nostra scatola cranica, sono anche altri. Il sistema limbico è un agglomerato di neuroni che sottostà alle due grandi formazioni degli emisferi cerebrali: la sostanza di cui è formato è detta paleocorteccia (o archicorteccia), ed è evidente già soltanto la differenza di prefisso con la parola “neocorteccia”. Il sistema limbico, difatti, è quello filogeneticamente più antico nel corso dell’evoluzione, che costituisce la porzione di cervello dominante nei rettili e che nei mammiferi aveva medesima importanza, ma ha poi subito notevoli differenziazioni. Il limbico è la sede delle emozioni e delle manifestazioni legate all’istinto, e in precedenza aveva forti connessioni specialmente coi centri dell’olfatto: l’animale doveva infatti prendere delle decisioni in base agli odori, legate agli aspetti della nutrizione, della riproduzione e della salvaguardia. I mammiferi hanno sviluppato anche una parte “ragionante”, costituita dall’encefalo vero e proprio, e in particolare l’uomo ha perduto la peculiare serie di connessioni esistente fra sistema limbico e olfattivo, guadagnando però un notevole numero di connessioni associative legate a tutte le sfere del pensiero controllato. Cosa curiosa da osservare è che solo i mammiferi (e, si ritiene, gli uccelli) sognano, ovvero coloro che hanno, nel loro corredo anatomico, la sede del pensiero associativo, che consente la modulazione delle emozioni. D’altra parte, le numerose connessioni fra neocorteccia e paleocorteccia spiegano il perché delle connotazioni “emotive” degli atti ragionati. Appurata la relazione fra le diverse parti del cervello, aggiungiamo inoltre che il limbico (dal latino “anello”, poiché anatomicamente circonda il talamo, altra zona cerebrale di interesse), grazie alla formazione nota come ippocampo, raccoglie l’intero repertorio di esperienze del soggetto, condizionando il comportamento in questo senso e, a questo punto, fungendo da “gran calderone” da cui il cervello attinge per elaborare l’immagine onirica.


Altro protagonista è il sistema detto reticolare, vero e proprio interruttore cerebrale, che è il responsabile della regolazione autonoma. Esso ha sede nel tronco encefalico (il naturale prolungamento craniale del midollo) e presenta collegamenti con praticamente ogni parte del sistema nervoso, fra queste anche il limbico: grazie alla connessione limbico-reticolare spieghiamo, ad esempio, la mimica facciale in risposta agli stati emotivi, dacché il sistema reticolare “accende” i nuclei nervosi dei muscoli del viso. Considerando il limbico la sede dell’emozione, in particolare del ricordo dell’emozione, vediamo come la stessa connessione, attiva durante il sonno, possa elaborare e al contempo mostrarci visivamente l’elaborazione in quel che chiamiamo sogno.


L’esperienza onirica non è collocata genericamente durante il sonno notturno: essa possiede difatti una collocazione ben specifica, in una fase detta sonno “REM”, o sonno paradosso. Una persona dormendo attraversa quattro fasi prima del sonno REM (questo ciclo avviene, in una notte, in media quattro volte, con intensità crescente della fase REM), nelle quali l’attività cerebrale va scemando sempre più; il sonno paradosso è così chiamato poiché il soggetto, pur non essendo in uno stato di veglia, presenta dei picchi di attività uguali o addirittura maggiori rispetto allo stato di veglia stesso. E’ qui che l’ònar si manifesta, e affinché si manifesti, il sistema reticolare elimina ogni tipo di ingresso sensitivo dall’esterno. Di fatto, gli studiosi di millenni dopo hanno confermato quanto Aristotele asseriva nei suoi trattati: “Dunque che tutti gli esseri viventi partecipano del sonno è chiaro da queste considerazioni. L’animale, infatti, è definito dal possesso della sensazione, e diciamo che il sonno è in qualche modo l’immobilità e quasi la paralisi della sensibilità, mentre la veglia ne è lo scioglimento e la liberazione”. La fase del sogno è detta REM dall’acronimo di Rapid Eye Movements, movimenti rapidi che l’occhio effettua durante il sonno paradosso e dovuti a scariche neuronali del sistema reticolare sui nuclei dei nervi che controllano la motilità dei bulbi oculari; queste scariche sono probabilmente le stesse che giungono alle aree visive associative, il “proiettore” del nostro cervello, e giungono in una zona detta locus coeruleus, responsabile del controllo autonomo del ritmo sonno-veglia.


L’uomo, come già detto, ha tentato di dare una spiegazione all’esistenza di questo “secondo mondo”, forse peccando di troppa presunzione. La verità è che l’oblio ingenuo nel quale egli si ritrovava prosegue ancor oggi, pur supportato dalla verifica scientifica. Una verità sì amara per la ricerca, ma dolce per coloro i quali attendono, senza affannarsi sui perché, la fine dello ùpar , per poter volare oltre i confini della realtà.

Claudio Lamberti

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