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Il sogno nella Grecia antica: tra individualità e collettività - di Cristiana Lucidi

La pluralità di angolazioni con cui i Greci scrutarono il mondo e l’uomo si riscontra anche nella concezione che ebbero di quell’entità oggi vista unicamente come manifestazione di inconsci desideri e paure: il sogno.

La realtà onirica del mondo greco arcaico è sorprendente se si pensa che sogno non è solo ciò che “incombe” sul dormiente durante la notte, ma è anche una sorta di catarsi, di esorcismo di paure collettive.


Prima di addentrarsi nell’analisi del lato più affascinante (e certamente visibile solo a posteriori) dell’esperienza onirica nella civiltà alla quale tutto dobbiamo, è bene comprendere quale fosse la concezione greca del sogno nella sua accezione comune.



La più antica testimonianza è certamente riscontrabile nei poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, la cui prima composizione, a livello orale, è tradizionalmente collocata tra il IX e l’VIII secolo a.C.

La visione omerica del sogno è retaggio della cultura greca arcaica: l’apparizione notturna è entità autonoma che visita l’uomo per profetizzargli avvenimenti futuri (benevoli o funesti), ammonirlo, aiutarlo e talora addirittura ingannarlo.


È questa una concezione tipica delle società antiche: la difficoltà di comprensione delle dinamiche inconsce ed il timore che da esse scaturisce portano necessariamente ad associarle ad una realtà altra rispetto all’uomo, il quale pertanto non le produce, ma le subisce.

Così per Omero (ma dietro questo nome vi è lo spirito di un’intera civiltà) i sogni hanno sede in un luogo ben definito, il “Paese dei sogni”, immaginato in uno spazio a stretto contatto con l’Aldilà e quindi con le anime dei morti.

In particolare, i sogni degli eroi guerrieri nell’Iliade e quelli di Penelope e Nausicaa nell’Odissea sono tutti inviati per volere degli dei: è la più chiara dimostrazione di come la realtà onirica notturna fosse percepita quale veicolo di comunicazione tra forze mistiche ed esseri umani.


A costituire un anello di congiunzione tra la concezione arcaica del sogno ed acquisizioni nuove è Erodoto, storico microasiatico di V secolo. Il suo profondo senso del divino lo porta ad inserire nelle sue Storie sogni di ispirazione omerica, in cui la volontà del dio si manifesta per influenzare non solo l’esistenza umana, ma anche il corso della storia universale. La convinzione che le visioni notturne siano indizio di sovrannaturali intenzioni è perfettamente in linea con la concezione erodotea della storia come compimento di un disegno provvidenziale; tuttavia nella mentalità dell’uomo del V secolo inizia a delinearsi l’idea del sogno come rielaborazione notturna di emozioni diurne, che non lascia indifferente nemmeno lo storico di Alicarnasso.


Paradigmatico e fondamentale per comprendere le due differenti posizioni, quella tradizionale e quella di matrice nazionalistica frutto della filosofia atomistica, è il dibattito tra Serse ed Artabano riguardo all’origine dei sogni: se per il re persiano questi sono messaggi divini, lo zio e consigliere li vede unicamente come prodotto di azioni, suggestioni ed ossessioni umane.

Quest’analisi “pre-freudiana” si accompagna all’importanza attribuita alla simbologia onirica, che tuttavia non va anacronisticamente connessa con quella freudiana e junghiana.


È proprio il “padre” della psicanalisi a definire “pre-scientifica” la riflessione sul mondo onirico di autori del calibro di Aristotele ed Artemidoro.

Aristotele, figlio di un medico ed erede della cultura democritea ed ippocratica, se in un primo momento sembra dipendere da una concezione religiosa del sogno, in seguito ne collega la formazione a processi fisiologici propri delle facoltà percettive, in particolar modo la vista.

Sono però gli Oneirokritikà di Artemidoro a segnare il culmine dell’analisi scientifica dei sogni nel mondo greco antico.


Sebbene si possa riscontrare nell’opera un’adesione sostanziale alla convinzione che il sogno preannunci il futuro, si possono anche notare elementi che anticipano le teorie dei moderni.

In particolare, Artemidoro interpreta con eccezionale lucidità determinate simbologie oniriche, come quella riguardante il giacere con la madre o particolari oggetti che celano pulsioni sessuali (il sogno del mortaio e del pestello è straordinariamente simile a quello del treno e della galleria descritto a Freud da un suo paziente).

L’autore di Daldi inoltre riporta sogni comuni e ricorrenti, come la caduta dei denti o il volare, e tenta di individualizzare i sogni: una stessa visione andrà interpretata in modo diverso a seconda di chi la riceve.


Andranno invece visti con occhio totalmente diverso altri sogni comuni, stavolta nel senso di “collettivi”.

Sono realtà particolari, che si discostano dalle visioni oniriche appena analizzate per due peculiari caratteristiche: non sono notturne e, soprattutto, sono frutto di un processo di razionalizzazione di paure inconsce operato da una comunità più o meno grande.

A tali “sogni ad occhi aperti” è stato dato il nome di “miti”, che nella poikìle psychè (complessa mente) dei Greci sono nati numerosi ed affascinanti.


Una lettura superficiale potrebbe farne apprezzare solo il lato suggestivo, derivante dalla loro arcaicità e dal contenuto fantastico e meraviglioso, ma per poterne comprendere il valore catartico bisogna trattenere il fiato ed immergersi nell’abisso dell’Animus Graecorum.

Si potrà così scoprire quali siano le fobie che ossessionano l’uomo greco e che, in parte, continuano tutt’ora ad atterrire l’uomo contemporaneo.

Anche in tal caso, è d’obbligo analizzare dei miti paradigmatici, chiara espressione dell’inconscio collettivo ellenico e del tentativo di prenderne coscienza: il mito delle Amazzoni ed il mito della lotta contro i Centauri. Tuttavia, prima di addentrarsi in un’esegesi psicanalitica, bisogna esporre brevemente il loro contenuto.


Le Amazzoni sono donne guerriere che vivono, secondo Strabone, “alle pendici settentrionali di quelle parti delle montagne del Caucaso che sono chiamate Cerauni”. La dedizione al combattimento è tale da far loro amputare alle bambine il seno destro, in modo che non siano impedite nell’utilizzo del braccio corrispondente. La comunità delle Amazzoni è esclusivamente femminile, ma durante la primavera esse salgono sulle montagne che le separano dai Gargari (mitologica popolazione esclusivamente maschile), i quali lì le attendono. L’accoppiamento avviene in modo del tutto casuale e, al termine della gravidanza, le Amazzoni tengono le femmine ed i Gargari i maschi. Si narra che le donne guerriere siano state sconfitte da Tèseo, l’eroe autore del sinecismo (unione di più villaggi) da cui nacque Atene.


I Centauri sono figure mostruose, con dorso e zampe di cavallo e busto, testa e braccia d’uomo.

Il loro luogo di origine è tradizionalmente collocato all’estremo nord del mondo greco.

L’episodio principale che li vede come protagonisti è la lotta con i Lapiti, mitologica popolazione della Tessaglia: i Centauri, invitati al banchetto nunziale del re Piritoo ed Ippodamia, si ubriacarono ed oltraggiarono le donne; ne seguì una battaglia terribile, durante la quale furono massacrati dai Lapiti.

Ma cosa simboleggiano le Amazzoni ed i Centauri?


Proviamo ad immedesimarci nell’uomo greco antico, più precisamente nell’uomo ateniese.

Il ruolo della donna nell’Atene antica risulta essere estremamente marginale: ogni diritto politico le è negato e deve limitarsi a curare casa e figli. Addirittura, per evitare una possibile fuga dalla condizione di mutismo intellettuale e dipendenza totale dal proprio padre o fratello o marito, il noto legislatore Solone decretò che non potessero “uscire con più di tre indumenti e portare con sé cibi o bevande del valore superiore ad un obolo, un canestro più grande di un cubito e andare in giro di notte se non su una carrozza preceduta da una fiaccola” (Plutarco, Vita di Solone).


Emblematiche sono anche le parole che lo stratega Pericle rivolse alle vedove nel suo “Epitaffio” per i caduti del primo anno di guerra tra Atene e Sparta: “… per voi sarà un gran merito non essere più deboli di quanto sia proprio della vostra natura e fare in modo che i maschi parlino di voi il meno possibile sia per lodarvi che per biasimarvi” (Tucidide, La guerra del Peloponneso).

Le fonti parlano da sé: l’uomo ateniese è assai geloso del proprio ruolo di dominatore sulla donna e la relega in una posizione di assoluta inferiorità morale ed intellettuale, quasi fosse un automa atto solo a svolgere le funzioni per cui la natura lo ha programmato.


Si potrà quindi immaginare quale fosse il terrore della componente maschile di Atene: un ribaltamento totale dei ruoli, una società in cui le donne combattessero alla stregua di uomini e come uomini si comportassero in ogni aspetto della vita quotidiana. Così le Amazzoni sono l’incarnazione del contro natura, un terrore recondito che letteralmente incombe sull’uomo ateniese.

E non a caso la loro sconfitta viene attribuita a Tèseo, l’eroe civilizzatore, colui che pose le basi della futura grandezza della “scuola dell’Ellade”: è la vittoria del giusto sullo sbagliato, del secondo natura sul contro natura, del kòsmos sul chaos.


Kòsmos e chaos: ordine e incontrollabile casualità, ragione e brutale istinto, civiltà e barbarie. Questo è l’eterno conflitto simboleggiato dalla lotta tra Centauri e Lapiti, dove le mostruose figure metà uomini e metà bestie incarnano il disordine, il pericoloso stravolgimento della normalità: per questo la tradizione li ha relegati all’estremo nord del mondo greco, sede dell’incolta barbarie.

Quindi un timore non della sola Grecia antica, ma dell’umanità tutta, perché chiunque è terrorizzato dalla perdita di controllo sugli eventi e su se stesso, chiunque teme il Fato ed addirittura la perdita del raziocinio.


I miti vengono ad essere non solo un fattore di coesione dell’intera grecità, dal momento che sono comuni ad ogni pòlis e stato federale dell’Ellade, ma anche incubi collettivi scaturiti da paure universali. Essi sono addirittura una sorta di teatro ante litteram, dal momento che tramite essi si fa catarsi, si prende coscienza dei propri timori e li si esorcizza. E tale complesso processo psichico avviene non solo ascoltando o leggendo le narrazioni di queste “favole oniriche”, ma anche osservandole: la maggior parte dei frontoni e dei fregi dei più famosi templi greci raffigura proprio l’Amazzonomachia o la Centauromachia, celebrazione sacra e rassicurante della definitiva vittoria del kòsmos sul chaos.


Cristiana Lucidi

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