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Cosa deve fare il lettore? - di Alessio Montagner

In neuroestetica, si parla spesso dell'idea antica di lettore passivo e di quella moderna di lettore attivo. Cosa voglia dire esattamente ciò, in realtà, non è cosa limpida. Credere infatti che in passato gli autori considerassero i lettori incapaci di pensieri e intuizioni proprie è cosa superficiale e semplicistica. Da sempre si usano allegorie e simboli, ed essi presuppongono che il lettore sia in grado di ragionare da solo sul testo. I testi illuministici, in particolare, si rivolgevano proprio a quei lettori che sarebbero stati in grado di capirne i significati più profondi, fregandosene di coloro che non avevano magari la cultura necessaria per comprenderli. D'altro canto, è pur vero che nell'800 si cambia tendenza, e si criticano i naturalisti per la loro mancata posizione morale: come spiega Checov, la gente dell'epoca voleva, assieme alla descrizione del furto di un cavallo, la specificazione che tale è cosa cattiva, come se il lettore non fosse in grado di dare un suo giudizio personale (o come se comunque l'autore dovesse necessariamente influenzare le idee altrui). Può sembrare quindi che il modo di porsi dell'artista nei confronti del contenuto in relazione alla fruizione di terzi sia cambiato più volte nel corso della storia, a volte dando libertà di pensiero al lettore, altre credendo invece che fosse necessario spiegare, specificare, commentare ciò che si sta narrando.


Da un punto di vista tecnico la cosa è ancora più complessa. Nella tecnica, il ruolo del lettore si gioca soprattutto nei punti di indeterminatezza (in neuroestetica, "unbestimmtheitsstellen"), ma la loro presenza è sempre stata più o meno grande. L'esempio classico è quello delle descrizioni. In alcuni periodi (come vediamo in epoca classica, ma anche in illuministica, soprattutto con Voltaire), si lasciava libertà d'immaginazione al lettore, e così ci si accontentava di descrivere pochi particolari, o anche di non descrivere niente, lasciando il resto all'immaginazione. In altri periodi invece, si prende incredibile gusto per la descrizione, che finisce per diventare, come in epoca omerica, una vera e propria figura retorica. Così abbiamo artisti che, come Manzoni. scrivono interi paragrafi con lo scopo di mettere in luce tutti i particolari di una data scena, di ogni postura, di ogni soprammobile. Anche per quel che riguarda certi paragrafi "esplicativi" l'approccio è diverso. Certi artisti lasciano agire i personaggi e non si preoccupano di spiegare le motivazioni psicologiche o logiche delle loro azioni. Questo era un approccio tipico dei classici, fino a Boccaccio: essi infatti ritenevano che le azioni stesse parlassero per il personaggio, e mostrassero il suo vero io. Altri artisti, però, trovavano proprio gusto nello specificare come mai una data società si comportasse in data maniera, e per quali meccanismi psicologici una data persona scegliesse di atteggiarsi in una maniera invece di un'altra: si può pensare a Balzac, a Zola, ma invero anche Tolstoj inserisce dei veri saggi in Guerra e Pace proprio per spiegare gli eventi, e addirittura uno scrittore apparentemente superficiale come Dumas padre spiega perché in una data epoca ci si comportasse così, e perché Dartagnan ha preso questa scelta invece dell'altra...


Se davvero vogliamo capire cosa si intende oggi per lettore attivo o passivo, non bisogna pensare alla capacità di riflettere del lettore sulla materia proposta (il cui approccio in merito è sempre cambiato), ma piuttosto se il lettore agisce internamente o esternamente all'opera. Tra gli anni 70 e 80, infatti, sono apparsi i primi risultati di quella che ancora neuroestetica non poteva essere definita. Tali risultati già avevano mostrato come il lettore non si limitasse a leggere l'opera e a ragionare su di essa esternamente, ma finiva per inglobarla, per mimare le azioni descritte, per introiettare le emozioni dei personaggi... Il lettore cioè non rimaneva più distante dell'opera, per ragionarci sopra in modo freddo, ma ci entrava, la viveva, e la completava.


Sono stati proprio questi test a favorire la creazione del minimalismo. Al di la delle sue scelte tecniche, infatti, l'idea alla base del minimalismo è quella che l'opera non sia creazione esclusiva dell'autore, che poi il lettore fruisce come preferisce, ma anzi è il lettore stesso che deve contribuire alla creazione, immergendosi nell'opera e completando tutti i punti di indeterminatezza, facendo dell'opera un'esperienza personale non ripetibile da altri. In un certo senso, l'autore si limita così a dare un canovaccio, dove tutte le informazioni, i commenti, le motivazioni, vanno inserite dalla mente del lettore. Questa tendenza, si faccia attenzione, non si limita alla letteratura, ma anche a tutti gli altri campi. Nella pittura minimalista, è il fruitore che deve trovare il modo giusto di porsi nei confronti dell'opera, e mettere ordine ai vari elementi nella sua testa. Nella musica minimalista, si lascia solo una base ritmica di pochi suoni che poi va completata con la partecipazione del fruitore, con la sua ispirazione e il suo abbandonarsi al ritmo, come se il suo stesso orecchio o, se si balla, il suo stesso corpo dovessero creare una prima melodia mentale da sovrapporre a quei pochi suoni. C'è anche un minimalismo scenico: oggi vanno di moda quelle opere liriche dove sul palco non appare altro che una sbarra di ferro, o un fiore, o poco altro: basta che sia tutto vuoto. Qui sono gli scenografi stessi a dire che gli spettatori in sala devono completare, con la loro mente, l'ambientazione della scena, mentre loro si limitano a dare poche fugaci indicazioni.


Credo però che questa tendenza ormai stia svanendo. Ritengo che il motivi sia nel fatto che ci si sta rendendo conto che ogni lettore si pone nei confronti del testo in maniera diversa, con maggiore o minore immersione, ragionando o non ragionando sulla materia.


La cosa, per quel che riguarda l'interpretazione, è evidente. Oggi la semiotica sembra prediligere un approccio flessibile, e cioè si presuppone che il testo di successo non abbia un'unica interpretazione, ma che abbia molte interpretazioni e molti modo di essere fruito, adattandosi così alle esigenze e ai gusti di molti. Il Don Chisciotte ne è il perfetto esempio: lo si può leggere cercando i significati allegorici nei suoi eventi, così come ci si può limitare a divertirsi con le follie che accadono. I lettori, proprio per loro istinto, si pongono in modo diverso nei confronti di una stessa materia, non solo cercando o non cercando un significato ulteriore, ma anche nei modi che si usano per cercare tali significati, e nelle loro basi.

Anche da un punto di vista tecnico la cosa può assumere pieghe molto interessanti. Ogni lettore infatti ha un suo modo di analizzare e sviluppare le informazioni recepite.


Riflettendo su ciò, l'immagine tipica che viene in mente è quella del lettore che abbassa il libro per cercare di immaginare meglio ciò che è stato descritto. In passato credo che fosse cosa comune, mentre oggi molto difficilmente un lettore si comporta così: quindi il lettore, in verità, è più passivo che attivo. Egli non cerca più di elaborare le informazioni date, ma pretende che si sviluppino da sole, senza che debba faticare. Una dimostrazione di ciò è proprio la descrizione dinamica. L'assenza di una descrizione infatti costringerebbe il lettore a sforzarsi per immaginare i vari particolari. La descrizione statica, cioè quella "a elenco" al modo di Manzoni e Tolstoj, richiede addirittura l’elaborazione e la coordinazione di una serie di informazioni. La descrizione dinamica, invece, da le informazioni poco a poco, senza uscire dalla scena; informazioni che il lettore alla fine non coordinerà neppure: nessuna necessità di sforzo. Può sembrare cosa buona, ma in realtà è buona solo agli occhi del lettore di oggi, cioè del lettore pigro. Per gioco, tempo fa, scrissi un testo così:


"Chichibio in cucina: sfrigolio. Prende cucchiaio, mescola padella. Aroma venatorio. Porta si spalanca: botto."


Questo è appunto null'altro che un canovaccio. Non è un testo coordinato, ma una serie di informazioni visive, sonore, olfattive. Il lettore pigro, cioè quello che richiede che le informazioni gli si formino da sole in testa, non può leggere qualcosa del genere. Uno inumanamente zelante, invece, dovrebbe leggere le frasi una per volta, fermandosi a ognuna, per sforzarsi di immaginare l'aroma venatorio, di sentire lo sfrigolio, e, soprattutto, di immaginare la cucina, come è fatto Chichibio, come è fatto il cucchiaio... L'ho capito leggendo i testi teatrali: le loro informazioni, quando non sono completamente assenti, sono esposte così, e in tal modo alcuni si annoiano e non vedono niente, mentre altri creano la loro scenografia e fanno recitare i loro "attori mentali".


È’ curioso come questa forma di "pura percezione", che pare in verità andare completamente contro il "lettore pigro" di oggi, si inserisca in un contesto che invece dovrebbe favorirlo. Si pensa, infatti, che l'uso del pleonasmo, della spiegazione, delle ingerenze dell'autore, di ogni "forse...", ogni paragone, metafora, figura retorica, finiscano per costituire un ostacolo alla fruizione, e che quindi debbano essere abolite in favore di un più rapido e fluido scorrere delle informazioni. Il problema naturalmente è che se da un lato l'informazione pura favorisce effettivamente la fruizione di certi lettori, dall'altro la sua esagerazione potrebbe richiedere loro uno sforzo eccessivo. Questo è l'esempio di Palahniuk, che ora sta sostenendo la necessità di esporre sensazioni pure.


Inoltre, in tempi recenti, si è preso a discorrere anche di un'altra tendenza simile: sulla riga di Rimbaud, si sta iniziando a riflettere su una "prosa oggettiva". Se interpretate oggettivo come "dell'oggetto", non siete neppure troppo lontani. La poetica dell'oggetto e del correlativo oggettivo hanno infatti la stessa base ideologica: la natura di un oggetto fisico non può essere fraintesa, le sue interpretazioni sono limitate, e quindi l'oggetto diventa strumento "oggettivo" per la creazione di un qualcosa di astratto come un'emozione. Ugualmente, un modo di scrivere "orlato", "retorico", si basa sul l'idea che date forme permettano di comunicare date sensazioni alla lettura; ma se si scrive esprimendo direttamente la sola sensazione, senza la volontà di creare nel lettore una sensazione automatica, ma addirittura chiedendogli di sforzarsi per auto-causarsela, si ottiene sì una prosa che è oggettiva, non interpretabile, ma una prosa che difficilmente il lettore moderno apprezzerà. Si parla dunque di una "oggettività" limitata a determinati approcci di lettura.


Dovrebbe essere chiaro, però, che non esiste un approccio "giusto", né per la scrittura né per la lettura. Credo che per il lettore sia importante capire che la questione non è cosa fa il testo per adattarsi al suo modo di leggere, ma piuttosto come un dato testo vuole essere letto, e settare di conseguenza la propria mente. È’ infatti evidente che l'arte non può rispondere alle esigenze del singolo. Pertanto è necessario che sia il lettore a modificare la sua mente in modo da comprendere a fondo un'opera. L'esempio che mi viene in mente è quello della pittura impressionistica. Un quadro realistico richiede di essere fruito in base, appunto, al suo realismo, e si gode della sua verosimiglianza fotografica. Un quadro impressionistico invece si basa su principi completamente diversi: si basa sulla purezza del colore, sui giochi di luce, sulla comunicazione del tratto e non del soggetto realistico. All'epoca non potevano capire la pittura impressionistica perché il cervello dei fruitori ricercava cose diverse, ed era abituata a percepire e godere sulla base di diversi principi.


In letteratura un principio simile si trova in quei testi che in passato erano creduti illeggibili. Il monologo finale dell'Ulysses di Joyce, per esempio, non può essere letto secondo i normali schemi mentali: richiedere piuttosto di leggere lentamente, cercando di capire il ritmo (o i vari ritmi) con cui possono essere lette le frasi, e i modi in cui recepire le informazioni. Se lo si legge in modo diverso, come si fa di solito, non se ne ricava piacere. Ne gode invece colui che modifica la sua mente, abituandosi a leggere quelle righe nel modo giusto.


Alessio Montagner

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