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Tormento e Comunicatività nella poetica di Martina Campi (da Cotone a La Saggezza dei Corpi) - di Lu

Da poco si è conclusa la Kermesse Faentina sull'umiltà e la Letizia e, in quella scia, mi piacerebbe concludere il ritratto di Martina Campi, che vi ha preso parte, il quale è stato iniziato, da me, con l'analisi de "La Saggezza dei Corpi".

Considerazioni preliminari - seppur il primo e l’ultimo libro della Campi sono apparsi in due momenti diversi (Estensioni del Tempo, 2012, La Saggezza dei Corpi, 2015) si intuisce che, stilisticamente, potrebbero essere raccolte appartenute a un momento di composizione ravvicinato. Date le consonanze, si potrebbe sospettare siano, in realtà, momenti assai vicini e indubbiamente complementari: le teorie e stilemi di uno si riversano in quelli dell’altro. La data cronologica effettiva di composizione è importante per cercare di vedere la direzione cui è tesa la poetica: cosa si ha abbandonato, cosa si ha ripreso etc… Parlando con l’autrice scopriamo che Cotone, cronologicamente, comprende componimenti scritti tra il 2005/06 e il 2010/11 e rivisto nel 2013/14 in vista della pubblicazione. Le Estensioni del Tempo sono state composte attorno al 2011/2012 e la Saggezza dei Corpi sempre nello stesso anno. In Cotone si delinea tutta la “simbologia” del colore, la quale è costante anche degli altri lavori. Importante è la funzione latente della mano la quale tenderà a essere l’unico modo, l’unico strumento attraverso cui l’autrice si potrà mettere in contatto con quel “tu” ricorrente.

Infatti la mano, nella raccolta successiva Estensioni del Tempo, diventa quel “manifesto emotivo”: cioè non solo uno dei modi più diretti per comunicarSI all’altro, ma anche per accogliere in sé il mondo (mano a coppetta, mani curve etc…). Difatti le mani, nella Saggezza dei Corpi, sono una di quelle parti del corpo che si risveglia prima, oltre a essere una delle prime a desensibilizzarsi. Insomma, mi pare sia ovvio che la poesia di Martina sia volta non solo alla comunicazione, ma sia una lotta a infrangere quelle barriere, fatte forse di spazi bianchi, che la separano dalle persone, affinché esse, una volta imparate ad orientarsi nel suo turbolento modo di “presentarsi”, possano, forse, finalmente vederla per quel che è e non come la sintassi di una idea.

Partiamo dalla raccolta Estensioni del Tempo. Cosa sono? Questo è il primo quesito, direi, strutturale, da porsi quando ci si approccia a questa poesia per comprendere, anzitutto, un momento stilistico. Le rivela la ricerca di concretezza. “Semplici traiettorie d’angoli / E strade e capelli per tutti / I chilometri percorsi in precedenza / trasudano stanchezze / con soprabiti d’africa.” Ma questo anche in Cotone, quando si parla ad esempio delle “catene di Pioggia”. Infatti “[…] il tempo non esiste / è solo il dentro che si espande.” L’evento in se, dunque, tende a essere sfocato dall’interiorità, sempre poetica, dell’autrice, finendo per porre, ad esso, una propria sovrastruttura (se stessa). In Cotone istanze definibili come reali sono soventemente ben distinte da quella dimensione intima/inconscia, che la raccolta successiva porterà gradualmente a far coincidere, pervenendo così, con la Saggezza dei Corpi, a un piano vicino alla surrealtà come la intendevano i francesi. In Estensioni del tempo le categorie del discorso subiscono degli attacchi: frequenti sono gli scarti logici del periodo o la ri-contestualizzazione - attraverso l’uso di vari strumenti tra cui, talvolta, anche l’etimologia - di alcuni lemmi, che acquistano forza, illuminandosi in modi imprevisti: “l’ombra che corse incontro / ci guadagnò una panchina / e segmenti di brina, mentre / ne graziavamo l’esistenza”.

Le estensioni del tempo sono le azioni: è il modo poetico in cui esse sono concepite, ovvero spazialmente, quasi fossero oggetti. Si vede, sin da subito, come l’azione, nelle singole poesie, si estenda senza sottostare a una trama narrativa, imponendo nella sua economia primariamente descrittiva, dunque spaziale, la sua forza suggestiva e oggettivante.

Queste scelte hanno sempre il fine di costruire/ricostruire i nessi linguistici in cui una parola è, inevitabilmente, inserita. Martina, debitrice a Wittgenstein per molti aspetti, non sembra voler rinunciare mai alla comunicazione, nemmeno nei suoi espedienti più estremi. Su questa struttura si vengono a creare, poi, nuclei tematici dei colori (il bianco, il blu, il rosso, il giallo etc…) cui è data ad ognuno una funzione precisa, lucidamente enucleata in Cotone. Credo sia fondamentale comprendere la funzione che la Campi conferisce ai colori per vedere come, nonostante tutto, abbia un rapporto viscerale con la poesia.

Partiamo dal blu, che è un po’ il centro di Estensioni del Tempo: il blu rappresenta un mondo interiore, spesso, felice, che trova nella notte il suo habitat e il suo “riparo”. La notte è del sogno, in cui il “dentro” si espande, il blu è colore di quel “dentro” che spesso si riaffaccia nei versi della Campi. Prima di citare il testo de “La danza” vorrei chiamare in causa Wittgenstein affinché possa illuminare il testo: “spesso si usano proposizioni che stanno tra la logica e l’empiria, cosicché il loro senso oscilla da una parte e dall’altra di questo confine; ed esse valgono, ora come espressione di una norma, ora come espressione di un esperienza”. La danza Profondo è il respiro E sempre Più Pesante Il corpo Nello scivolare Dondolare Oltre la Sera Lieve Partecipano gli oggetti cari e ogni luogo partecipano con una fretta agitata allargandosi che poi lieve sfiata lieve d’ali disperde partecipano alla veglia smuovono lo spazio dentro il blu. Eppure la Campi non è del tutto ottimista riguardo alle possibilità effettive del linguaggio, come evidenzia nella chiusa di Mostr’arsi: “per niente sapere / come dire / cosa dire” in cui si evidenzia anche il senso etimologico del titolo. Per questo si sono scelte le mani come manifesto emotivo.

La difficoltà comunicativa è la piazza su cui hanno luogo altre problematiche, non solo linguistiche, ma esistenziali: l’assenza degli altri, la mancanza, la stratificazione dei visi etc.

Per la Campi dalla sofferenza, dalla distruzione, si genera vita. Così il nucleo di “compressione” che collassa continuamente su se stesso diviene la vita imperfetta, del componimento irregolarità. In generale lungo tutto questo libro c’è questa tensione a una sofferenza vissuta sotto più fronti che, tuttavia, catalizza una reazione vitale, la poesia, anche se si punta sempre a ritornare nell’intimità: “e poi siamo tornati sempre / accoccolati, cuccioli, primordiali, / accolti”.


Così nel nostro pellegrinaggio, disordinato e un poco turbolento, arriviamo a Cotone. Cotone si stacca abbastanza dall’economia della raccolta appena analizzata, mantenendo, tuttavia, molte consonanze. Il verso è lungo e, contemporaneamente, il dettato è lievemente più lineare, ma mai pacifico. Emergono nitidamente scorci quotidiani, reali, rappresentati e sentiti in modo personale, supportati sempre da un lessico teso alla concretezza di cui abbiamo già parlato. Qui si rafforza la mancanza, l’assenza, l’estraneità e, in generale, la componente esistenziale. Viene abbozzato il momento liberatorio del sonno e della fase notturna.

Nella poesia le catene di pioggia si rovesciano, allagano, si ha la sensazione che l’essere umano si debba confare a un mondo insofferente e noncurante, il quale “non tiene conto / dei fili, dei legami” e a cui l’essere umano non resta nessuna possibilità se non confarsi “e noi ci facciamo acqua, sgocciolanti dai vestiti e dal volto”.

Quando “si fa buio” troviamo l’agognato rosso: “e oltre questo cielo / che ci abbraccia i cavalli / la luna, le stelle, le mani colte / fredde e rosse racchiuse […]”. Al rossore vitale si accosta, o meglio, si sovrappone il silenzio degli spazi bianchi assieme alla loro carica problematica, ma progettuale. Il silenzio è una sorta di inevitabilità di cui si prende coscienza; la luce riassumendo ogni cosa dentro di se, tende a disgregare le persone con cui entra in contatto “una luce nebbia / si nutre di questa via […] bisogna uscire di qui! E restare vivi. / poi di mattina presto / la luce è sorgente /rifratta / ma davanti a me / tre case fatiscenti / non c’è un'anima”. Qui si dispiega definitivamente il carattere sì, distensivo, risolutorio della luce, del bianco e degli spazi che si estendono, ma in quel risolvere ogni cosa dentro di sé essi tendono ad annientare. Annientamento fatto opprimente ne la Saggezza dei Corpi, in cui l’autrice non può appellarsi, con un cambio di prospettiva mentale, al suo rubore vitale.

Anche in Cotone, come nel secondo libro, ritroviamo ancora quella tensione interna ed esterna dell’autrice che la distingue nel suo procedere turbolento. Qui le varie poesie paiono parte di un momento unico, di un unico “discorso”. Ma troviamo quasi sempre, e in forme diverse, un ritorno a quella dimensione primordiale cui ella si aggrappa e attinge le forze: in questo modo riesce a trovare equilibrio, un centro, in un'esistenza sofferente. Dimensione in cui, attraverso flessioni linguistiche estreme, si cerca di risolvere e superare contraddizioni tormentose. Così il linguaggio si fa simile a quello dei bambini usando parole “storpiate”, cercando così di pervenire a una dimensione più diretta e aurorale, più intimamente connessa alle cose. Questo è, non solo, un punto di contatto con gli altri, ma forse una identità tautologica: “il freddo , il freddo è il saio / il tuo saio per dormirci / stanotte sai per tradurti / ciò che sai tu lo sai / tu lo sei ciò che sei”.


Giungiamo, così, all’ultima raccolta, la Saggezza dei Corpi, di cui avevo precedentemente parlato in un altro articolo, ma che vorrei riprendere ancora, per cercare di dare una visione più unitaria della poetica dell’autrice.

In questo libro si mantengono quasi tutte le particolarità di quelli precedenti. Rispetto a Cotone si conserva il continuum, ma si lascia da parte quella taglio di lucida quotidianità, che non era una costante pacifica nemmeno in quella raccolta, per offrirne una più surreale anche se comunque concreta.

Questa particolarità, già notata anche da altre analisi critiche, credo sia da attribuire alla flessione linguistica, la quale pende alla concretezza. Questa caratteristica non stempra la tendenza surrealista, anzi, è proprio grazie a questa peculiarità che si può dire di essere innanzi, secondo me, a quel tipo di surrealtà del celebre manifesto (cfr. soprattutto le prose di Champs de Magnetique).

Tornando alla raccolta: qui si percorre una strada turbolenta, forse la più turbolenta di tutte perché minata alla radice: nel corpo. Situazione da cui credo non si esca mai del tutto, seppur nella conclusione si tende sempre a ritornare a quella dimensione “blu” in cui ha luogo ciò che “ci unisce”, anche la dimensione primaverile non sembra perduta, in quel pianto verde. Non si riesce più, però, a introdurre nuovamente la flessione “spensierata” del linguaggio, che soprattutto in Cotone risolveva in sé, più o meno, ogni cosa. Ciò non può essere fatto, giudizio mio, perché la turbolenza del viaggio tracciato era tale da aver scardinato perfino le fondamenta solide e fisiologiche che, di lì in avanti, avrebbero dovuto essere ricostruite e, forse, ancora devono esserlo.


In conclusione il percorso che la Martina ci offre in questi libri è vasto nel suo alternarsi di momenti pacifici e ardui, tagliato con una struttura comune, ma che lascia spazio anche a l’evolversi della sensibilità. Una esperienza dunque variegata, che si ripromette sempre, ma che non sempre riesce, fino in fondo, ad attingere a quel momento aurorale, linguistico ed emotivo, per risolvere o per equilibrare l’avvicendarsi dei conflitti.


Luca Cenacchi

 

Martina Campi è nata a Verona nel 1978. Vive a Bologna dove ha studiato e si è laureata in Scienze della Comunicazione. Vincitrice del Premio Renato Giorgi 2012 con Estrazioni del tempo (Edizioni Le Voci della Luna Poesia, 2012), è tra gli autori finalisti al Premio Lorenzo Montano 2014, con la raccolta inedita Manuale d’estinzione. Figura tra i segnalati nel 2012 con la raccolta che compone questo libro: La saggezza dei corpi; al medesimo premio, e risulta menzione d’onore, l’anno successivo, con la raccolta Le metamorfosi della gioia, ora divenuta Cotone (Buonesiepi Libri 2014). Nel 2015 consegue il medesimo risultato con la silloge inedita Quasi radiante. Autrice e performer, fondatrice insieme al compositore e musicista Mario Sboarina, del progetto di musica e poesia Memorie dal SottoSuono, nel quale si fondono reading poetico, elettronica, jazz / ambient, contaminazioni afro e accenni di musica popolare; del 2010 è l’uscita del cd Mani e qualcos’altro. Il progetto Memorie dal SottoSuono è oggi un vero e proprio collettivo di artisti di diversa formazione. Per dicembre 2015 è prevista l’uscita dell’omonimo album. Fa parte da tre anni del Comitato Bologna in Lettere (B.I.L.) È giurata per la sezione B del premio Giorgi 2015 e della sezione giovani 2013. Collabora con diverse realtà poetiche, tra cui Letteratura Necessaria e il festival multimediale di Letteratura Bologna in Lettere 2013,14,15. Nel 2014 entra a far parte della redazione della rivista Le Voci della Luna e collabora con la rivista online L’Antenna. Con il poeta Giampaolo De Pietro si occupa del progetto Il foglio d’aria. Fa parte del Censimento di Poeti di Pordenonlegge, oltre che del futuro Atlante dei poeti italiani contemporanei a cura dell’Università di Bologna (ancora work in progress). Partecipa a diversi festival e recital di poesia e/o musica in vaie parti d’Italia.

 

Luca Cenacchi nasce a Forlì nel 1990. Ha contribuito a fondare il forum letterario Gladiatori della penna. Redige la rubrica di poesia contemporanea Gli Specchi Critici in collaborazione con i blog FaraPoesia, Kerberos Bookstore e L’Arcolaio (Forlì). L'articolo su Vito Santoliquido è apparso come contributo sul blog di letteratura e cultura Poetarum Silva e collabora col centro culturale l'Ortica (con contributi critici e poesie inedite tratte dal progetto La Meccanica dell'esistenza. Sue poesie sono apparse in antologie fra cui La mia sfida al male (Fara 2016). Nel 2016 è stato giudice presso il concorso Faraexcelsoir 2016 e, nello stesso anno, ha scritto la prefazione all'opera prima di Claudio Lamberti Le cose piccole non si vedono in autostrada. Parti del suo articolo critico su Modigliani, libro dell'autore Luca Bresciani, sono state citate in un articolo del progetto "AltriItaliani" sul medesimo argomento.

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