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Amore e Morte nelle liriche di Vito Santoliquido – di Luca Cenacchi

Quando ho letto per la prima volta le poesie di Vito Santoliquido, che oggi ospiteremo nella nostra rubrica d’inediti, la sensazione provata è stata una certa familiarità, non tanto per la facilità, quasi prepotente, con cui l’autore riesce ad avvicinare la sua poesia al lettore, ma per gli echi letterari riemersi durante la lettura che, seppur ben definiti, non riescono mai a riassumere, nell’etichetta corrispondente, la totalità della poetica dell’autore, il quale presenta, dunque, uno stile ben equilibrato tra debiti verso la letteratura e carattere inedito.


Già ospite di Poetarum Silva, di lui è stato sottolineato il carattere visivo unito a un proficuo laboratorio verbale, nonché una certa Sehnsucht [1].


Intuizioni esatte, con cui concordo, e mi permetto di suturare con una personale intuizione, sperando si riveli altrettanto corretta.


Quel che mi sembra fondante della poetica di Santoliquido è un “surrealismo barocco”, detto con tutte le precauzioni della situazione, la cui modulazione e slancio timbrico resta in equilibrio fra pose romantico-decadenti ed eroiche che impediscono, dando dignità allo stile, di scadere nella leziosità invertebrata tipica del barocco amoroso.


Le soluzioni stilistiche sono differenti, ma credo si possa asserire che il laboratorio verbale ardito incoraggi quella giustapposizione di realtà differenti, cara al surrealismo [2], mediato da un io lirico prominente la cui coscienza e gusto è profondamente italiana, il quale squassa con scarti repentini il procedere delle poesie, ma andiamo con ordine.


Sin da subito, sfogliando le pagine virtuali di “Le sommeil interrompu” - blog dell’autore - si può attestare un dialogo io/tu, il quale funge da tessuto delle poesie, in cui si dipana una versificazione di medio/breve portata il cui ritmo vorticoso, velocizzato dall’uso serrato di inarcature, tenta sempre di sorprendere il respiro del lettore con le sue pause inaspettate e disorientanti, non sempre sulla battuta.

Il linguaggio oscilla fra vocaboli della più disparata estrazione e una dimensione di laboratorio in cui, non solo letterario ed extra letterario vanno a braccetto, ma dove la parola viene spesso concretizzata attraverso una rielaborazione verbale ardita. Fra le tante soluzioni, poi, spicca la tendenza inglese ad accostare aggettivi (già presente in Montale), la quale tradisce il gusto per una forte componente coloristica e preziosa (che unita ad una generale tendenza a impreziosire l’immagine attraverso la luminosità, sedimenta il retrogusto barocco delle associazioni santoliquidee) dentro al respiro della propria descrizione. Modalità privilegiata dall’autore, infatti, è quello di un costante accadere dell’azione di cui l’io lirico ha sempre controllo.


Come si armonizzano, dunque, tutti questi elementi?


Nel dialogo sentimentale, seppur non si cada nell’onirico, si tende a sfocare l’attenzione poetica dalla realtà a movimenti interiori, in cui decadono le istanze narrative che pur strutturavano il barocco; esso infatti rispettava una certa consequenzialità ripresa dal tessuto retorico di rimandi quasi geometrici, in cui si soleva inscrivere l’azione. Questo, specialmente in “Anatomie del buio”, tende a non esserci, data l’insistenza con cui si sottolinea, attraverso verbi riflessivi, l’immagine, dunque l’azione, nel suo compiersi. Così si origina una sovrapposizione di presenti, seppure, assieme a tutto l’amore per i preziosismi coloristici, permanga del barocco anche quell’ipertrofia di particolari delle immagini, che scrosciano copiosamente lungo gli enjambement, anche se non vengono intessuti nel tradizionale gioco di rimandi monadico. Il decadimento della temporalità, o meglio della successione lineare dell’azione, necessaria quando si compie un tipo di descrizione come questo, apre la strada a istanze surreali, assieme ai loro accostamenti arditi, nonostante sia una caratteristica più blanda in ogni componimento , che ben si accostano agli estremismi barocchi. Così nascono immagini come: “nei palmi fatti diafani si avvicenderanno cieli satelliti nuvole in fuga diramanti risfolgoranti asfalti plumbeo-umidi di pioggia”.


La particolarità surreale di Santoliquido risiede proprio nell’uso concreto dei verbi con cui egli, talvolta, raccorda le descrizioni mettendole in relazione, e negli scarti repentini del dettato anticipati precedentemente: “come sconquassa / l’accartocciata reliquia di vita / così nel petto la sanguinante / ruggine rosa abbuiandosi sgrana / delira, rosa nell’oro vermiglia // (schiara il gheriglio dei petali- / bocche in cui riposa un serafino / della tenebra oleosa / che la pelle va screpolando…)”.


A livello tematico abbiamo manifeste consonanze fra i vari generi (barocco e romantico-decadente). Nella tendenza nominale al notturno, data la caratteristica brillante delle immagini, si dipana una sessualità grottesca (“Carbonizzare come bronco”), rivelando una tensione inquieta, sofferente fino al masochismo autodistruttivo, le quali non vogliono tanto attestare una certa malattia, quanto l’assolutezza dell’amore anche ossessivo, per così dire, al di la del bene e del male, fino a giungere a pose quasi eroiche nella bella inversione dannunziana che chiude il componimento “Di nottetempo” (“e più non sarai / terrestre”). Questa assolutezza, talvolta autodistruttiva, si sfoga nelle meditazioni sulla morte (“Mio mortale”) cui si tenta sempre di opporre la vitalità della contrazione di un percorso e di un respiro sul ciglio dell’inevitabile.


Le poesie di Santoliquido risultano, per concludere, estremamente abbondanti, dal dettato impervio, grazie alla consonanza di stili che permettono un’impostazione descrittiva e vocale in un crescendo d’intensità virtualmente illimitato, il quale ben si sposa con una costante tensione all’assoluto, mediante la ricerca di soluzioni visive concettose, ma non forzate o artificiose, anche grazie alla libertà rinnovatrice di matrice surreale blanda, che apre le porte, così, ad accostamenti non solo sorprendenti e funamboleschi, ma genuinamente spiazzanti.


Luca Cenacchi

 

[1] Sehnsucht: Sin da subito la parola apre un ventaglio di possibilità e sviluppi dell’intuizione originale veramente ampia. E’ necessaria, almeno da parte mia, una contestualizzazione rispetto alla suddetta che, come si vedrò dall’argomento, traccia un percorso che dalla Sensucht intesa come anelito, il quale si rivela, poi, “desiderio del desiderare”(Mittner), perviene poi gradualmente a sfumature inedite e, come si vedrà, dolorose. Una tensione dolorosa dunque che, tuttavia, in Santoliquido non si ripiega in se stessa, cioè “ desiderare di vivere nella condizione di desiderio puro perché irrealizzabile” (Mittner) ma che trova, poi, sviluppi inediti come dolore fisico e impulso di morte, visto come liberazione ultima ed estremo abbandono. L’anelito di Santoliquido, dunque, è una tensione alla liberazione personale, auto annientamento, che si manifesta, quindi, in un impulso di morte emerso durante l’amplesso. Liberazione la cui responsabilità è tutta lasciata all’amante, da cui si richiede l’atto estremo, cioè di venire uccisi, smembrati; richiesta che non potrà, tuttavia, mai esser portato a termine(dal di qui la perenne tensione). In queste contaminazioni di registri diversi, si rivela anche la portata dell’originalità del giovane autore il quale, seppur faccia leva talvolta su topoi noti o citazioni, riesce, facendo un passo indietro, a rendere le sue influenze in un “sistema organico” che le mescola, le mette in relazione, creando così qualcosa di inedito, ma familiare.


[2] Automatismo e inconscio: Sui possibili dissensi riguardo iperlirismo e automatismo surreale mi permetto di citare uno stralcio del paragrafo di Paolo Tamassia riguardante l’argomento: “Un'altra apparente contraddizione riguarda la pretesa della scrittura automatica di sospendere ogni attività critica per registrare il flusso proveniente dall’inconscio in quanto essa non può evitare di esprimersi in una forma linguistica e grammaticale, implicando dunque una interferenza della mente conscia. Ma la contraddizione risulta, appunto, apparente perché l’intento non è quello di attuare una totale subordinazione della coscienza all’inconscio quanto di mettere in luce il loro incontro, ossia il momento in cui le immagini inconsce affiorano alla sfera della conoscenza” – Storia europea della letteratura francese.

 

Di nottetempo Non importa se t’avvolgerò in ricchi sudari – sicuri abbastanza a spandere la bruma, a scavare i laghi, (specchi lucenti per i tuoi occhi di tundra), come in un paradiso in letargo dove immergerci bluastri d’abisso, vascelli d’oblio sottovento sottovoce (proibito miele!) –, o se dentro uno scrigno polveroso e piccino ti serrerò, brulicante di cose dismesse che non divertono più (l’umido di ficus e mangrovie appena ti farà respirare); potrei anche mormorare qualche preghiera, perché il cielo si schiuda e tu come fuoco che scocca dal suolo sia rapito in quadranti segreti e oscuri, a ruotare con l’idrogeno immortale, le radiazioni di una stella stupenda – e più non sarai terrestre.

Carbonizzare come bronco Queste stelle che brucano il viola, e la luna fruga nella stanza. Sbucano masse illuminate: i nostri corpi foglie ardenti imperlate, tra bocche questo appiccicarsi tremolii di ti-amo – fari d’auto, occhi lucenti di civetta.

Ma questo senso del disastro, è sempre spettro è il morso – lingue di lupo, rose-spine del rovo. Quest’affetto mai così vicino, questo me così da uccidere fare a pezzi, carbonizzare come bronco.

Ho la testa piena di galassie Ho la testa piena di galassie:

scossa un poco, si rovescia a lago la Via Lattea sul tuo petto che si alza e s’abbassa, che mi scoppiano le arterie di stelle (bianco-spuma squillante amaranto- fiamma di foglia).

Il viso trafiggono gigli di luce, la bocca produce voce d’un dio presente, imperlano la pelle milioni di quasar.

Madrigale privato

[...] è ancora tua vita, sangue tuo nelle mie vene. Eugenio Montale

Sospiroso immelanconito amore — ci fu il tempo di un voto, cuor-di-smeriglio, a strapiombo sull’acqua informe scura (ed erano i giorni l’ore ceneri di futuro), non lo sai, forse.

Non era quel giuramento di bava e mercurio alla burrasca allora un fiammifero, se ora sul tuo petto poso — i tuoi occhi nocciòla, dove annuvola

ancestrale dea malinconia —, e ascolto un tuo scosceso battito, risuonandoti un cuore di fauno (mai così tetra San Marco, come stasera) a un canto: «Edelweiss»

(dolcissimamente interdetto fatto — smarrito il sangue in un pànico, breve).

Anatomie del buio

1 «Vengo a liberarti dal buio...» (Tu non sai di essere la densa oscurità, quell’angelo con l’ali di vetro, sulfureo smeriglio)

2 Vedi l’oro incendiarsi al vespero, che tu immagini dal celeste in sfacelo sgorghi resina e rubini, e

carbonizzandosi di poi ci seppellisca, non prima che per un improvviso incanto inazzurrandoci, girasoli in altre

plaghe di lucido ebano, petrolio palpitante

3 Mi baciassero pure streghe sulle palpebre algenti — arido, qui nel brumoso borro insonni incarnazioni si sospira in gotiche fissità e devastazioni sbigottite anime, l’ascolti? Imperscrutabile lucifero, aligero transiti in spirali d’incenso frusciandomi tuoi funebri barlumi per le vene della notte, aprendosi la cruna- abisso e giù nel mestissimo vuoto precipitandomi la tua cura chimerica —

4 ... poi che contemplo nei palmi fatti diafani si avvicenderanno cieli satelliti nuvole in fuga diramanti risfolgoranti asfalti plumbeo-umidi di pioggia, sì come in ossari in santuari in maestose brulicanti brughiere che furono già psichicamente, le ustioni silenziose di una prossima glaciazione, le bizzarre stratificazioni di una remota era geologica, e sarà il perlaceo della fronte troppo fragile spazzato dal monsone, turgido cupo, e poi gli amari meccanismi al mattino del fantasma, barbagli d’albe care, gl’irrequieti lemuri del tuo lare, incerti miracolosi Orienti di cherubini, e si udranno la luce in arabeschi lenti verdissimi millimetri di muschio, le mortificazioni viola del crepuscolo, in un metamorficamente fiorire-sfiorire di larve...

5 (Dal cielo-stagno fosforico batticuore: monotono scolo d’allume, rame, bitume...)

* Che siano i lieti allucinanti purgatori, m’inghiottano nei loro traumi di mesmerici ronzii, di pullulanti fuochi in novembre, e nevi, e mentre ancora come nell’incubo sprofondandomi già

Scheletri di plasma nebulose le luminosissime scaturigini dell’universo

6 E trascolorano le tinte; vibrano impazzite in pollini d’argentini arpeggi, d’intorno

(come fulgidamente c’inondarono e fluide teneramente mi rivestono le polveri del giorno, d’assopite nubecola falene, così che cinereo invanisco invisibile bozzolo)

7 Come sconquassa l’accartocciata reliquia di vita: così nel petto la sanguinante ruggine rosa abbuiandosi sgrana delira, rosa nell’oro vermiglia

(schiara il gheriglio dei petali- bocche in cui riposa un serafino della tenebra oleosa che la pelle va screpolando...)

8 Intorno al cor mi son venuti amore e il nulla con la fioca solitudine: la mia stralunata ridevole masnada Hellequin.

 

Vito Santoliquido è originario di Forenza (PZ), dove tuttora vive la sua famiglia; è nato il 26 dicembre 1989. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Filologia moderna presso l’ateneo Ca’ Foscari di Venezia (ottobre 2014): area d’elezione le letterature medievali romanze. Attualmente è dottorando in Italianistica e Romanistica presso le università di Venezia e Zurigo. Ha curato la rubrica di poesia inedita per la rivista di libera cultura “deSidera”.Gestisce un blog personale, guidato dall’idea di associare liriche e immagini: lesommeilinterrompu.wordpress.com.

 

Luca Cenacchi è nato a Forlì nel 1990. Nel 2011 la poesia Laocoonte – ovvero di se stesso è stata selezionata per essere pubblicata nell’antologia del Premio letterario Ottavio Nipoti - Ferrera Erbognone. Ha contribuito a fondare e sviluppare il forum letterario i Gladiatori della penna. I suoi testi sono stati presentati nella serata Arcadie Invisibili all’interno del progetto La Bottega della Parola organizzata dallaAssociazione culturale Poliedrica di Forlì. Nel 2016 il blog letterario Kerberos ha scritto un articolo critico di alcune sue poesie inedite Valore-contenuto e valore-bellezza: il senso del sacro attraverso la trasfigurazione dell’immagine e la neutralità del messaggio. Nel mese di Aprile dello stesso anno tre sue poesie (La Perla , Anoressica e Francesca) sono state selezionate per essere inserite nella antologia La mia sfida al male pubblicata a seguito della terza edizione del concorso letterario Come Farfalle Diventeremo Immensità , in memoria di Katia Zattoni e Guido Passini, indetto da Fara Editore. Aspirante critico letterario è ansioso di contribuire al dibattito sulla poesia contemporanea attraverso la rubrica critica Gli Specchi Critici realizzata in collaborazione con il blog Kerberosbookstore, Fara Poesia e ora anche L'Arcolaio. Nel 2016 è stato giudice presso il concorso Faraexcelsoir 2016. Ha partecipato alla rassegna poetica di Pianetto Poeti alla finestra presentando una serie di poesie inedite. Per ulteriori informazioni sul progetto: glispecchicritici@gmail.com.

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