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La “Favola” del Risorgimento italiano - di Giuseppe Sorrentino


Premessa


Io sono uno di quelli che ha creduto alla favoletta risorgimentale, ho creduto davvero nell’Italia e nella sua nascita, mi sono emozionato a leggere di Garibaldi e delle sue camicie rosse, ho creduto che i guai del mio povero Sud fossero un’eredità precedente all’unione di cui dovevamo ancora pagare il conto.


La favola del risorgimento infatti sembrava scritta molto bene, apposta per affascinare: vi era uno Stato, moderno, efficiente, libero e giustissimo (il Regno di Sardegna) e uno Stato retrogrado, arretrato, in cui il massimo della tecnologia era accendere il fuoco strofinando i bastoni tra di loro (Il Regno delle Due Sicilie).


Forse, rileggendo, ho esagerato col sarcasmo. Non intendo, comunque, lanciarmi in una filippica difensiva fine a se stessa dei Borbone e del Sud, non intendo dire che “stavamo meglio soli”; semplicemente vorrei farvi capire come sono arrivato alla conclusione che la favola del risorgimento, che insistono a raccontarci, sia effettivamente solo una favola.


Chi vi scrive non è uno storico di professione ma solo per passione, ed è con quella passione che cerco di compensare le mie mancanze di stile “accademico”, specie su un argomento che sento profondamente.


I pregiudizi che affliggono il sud e i meridionali sono un qualcosa con cui devo fare i conti tutti giorni ed inevitabilmente m’impediscono di usare toni pacati. Spero che nessuno, specialmente i lettori settentrionali, si senta insultato da ciò che leggerà dato che la mia intenzione è solamente quella di cercare di instillare il dubbio su alcune delle troppe convinzioni errate che si sono consolidate su certe tematiche.

1. Lo screditamento del Sud

Qualcuno, leggendo la premessa, avrà storto il naso pensando che ho esagerato e ingigantito la questione di come veniva presentato il Regno delle Due Sicilie nella storiografia rinascimentale.

Invece credo di aver anche minimizzato la gravità della cosa: in realtà è molto più grave di quanto sembri. Il sistematico screditare i Borbone (la famiglia regnante del Regno delle Due Sicilie), si è riflessa anche sulla popolazione su cui regnavano, rea di essergli fedele.


Da napoletano, so bene come viene percepito il mio popolo nel resto d’Italia e molti altri meridionali non se la passano meglio.


Sono già pronto a replicare alle accuse di vittimismo che qualcuno, spero in buona fede, può stare pensando: il sistematico screditare i meridionali, che va avanti dal ‘700, ha portato a questo:


  • nàpoli s. m. e f. [dal nome della città di Napoli]. 1. s. m., region., spreg. Designazione e appellativo ingiurioso, usato talvolta per designare i napoletani o, più generalm., un meridionale immigrato nel Nord d’Italia: gente come si deve e ... ladri, baresi, ruffiani, abruzzesi, napoli e veneziani (Giovanni Testori).

  • borbònico agg. e s. m. (f. -a; pl. m. -ci). – Dei Borboni, dinastia reale di origine francese, che, dal sec. 12° in poi, regnò in parecchi Stati europei: governo b.; come sost., fautore o seguace dei Borboni. Talora usato nel senso di retrogrado: metodi b., mentalità b. (con particolare riferimento ai Borboni del regno di Napoli).


Queste definizioni appartengono alla lingua italiana, le potete trovare facilmente sui dizionari ufficiali, non mi sono inventato nulla. Quanto da me riportato dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, quanto sia andata a fondo la macchina dell’insulto usata contro i meridionali.


Comunque, non intendo lasciare scampo a chi vuole negare la realtà dei fatti e il diffuso odio “latente” verso napoletani e meridionali, citerò un’altra parola del dizionario di lingua italiana:


  • ebrèo agg. e s. m. (f. -a) [dal lat. hebraeus, gr. tardo ἑβραῖος, adattam. della voce aramaica corrispondente all’ebr. ῾ibrī (pl.῾ibrīm), dal nome del supposto capostipite ῾Ēber]. 2. fig. Nel linguaggio com., epiteto ingiurioso, diffuso spec. in passato in base a riprovevoli pregiudizi e stereotipi, per indicare persona che all’abilità e mancanza di scrupoli negli affari unisce attaccamento al denaro, avidità di guadagno e propensione all’usura, con riferimento ad alcune qualità che la tradizione antisemita attribuisce agli Ebrei (e che la notorietà di personaggi letterarî, come l’usuraio ebreo Shylock nel «Mercante di Venezia» di Shakespeare, ha contribuito a consolidare nell’opinione popolare).


La frase che ho evidenziato nella definizione di ebreo dovrebbe, se io avessi torto, essere presente anche nella parola “nàpoli”. Evidentemente l’epiteto ingiurioso riferito ai napoletani (e meridionali più in generale) è fondato e non frutto di riprovevoli pregiudizi e stereotipi.


Molti miei conterranei hanno criticato i responsabili dei dizionari chiedendo di cambiare le definizioni, si sono sentiti rispondere che il dizionario non può fare altro che descrivere le parole per come vengono usate nel linguaggio comune. Credo di aver chiarito il punto.

2. Il Regno delle due Sicilie, un regno contadino e retrogrado

La convinzione che il Sud fosse endemicamente inferiore al nord e più arretrato nell’industrializzazione non è fondata che su falsità e mezze verità; la lista dei primati del Regno delle Due Sicilie è incredibilmente lunga e mi sorprese quando la scoprii. Tuttavia non intendo sciorinare liste, mi basta qualche esempio per smentire questo punto.


Il primato tecnologico più noto, riferito al Regno delle Due Sicilie, è la prima ferrovia d’Italia: la Napoli-Portici.


Fig.1 – Dipinto raffigurante l’inaugurazione della ferrovia.

Negare questo traguardo, come è stato fatto per molti altri, è stato impossibile per gli storici “unionisti”; tuttavia, se non è possibile negare, si può sempre sminuire. Sul mio libro di storia del liceo (così come ho notato su molti altri libri di autori anti-borbonici), tale tratta ferroviaria veniva definita come: “un giocattolo per i nobili e la famiglia reale, non utile ad altro che alle loro gite fuori Napoli”. Inoltre si è cercato di far passare la realizzazione di tale tratta come unica; in pratica, secondo questi sedicenti storici, i Borbone si erano limitati a buttar giù due assi di ferro tra Napoli e Portici giusto per avere il primato in Italia per poi disinteressarsi della cosa.


Queste sono menzogne colossali: la tratta Napoli-Portici servì, solo nel primo mese di utilizzo, una stima di circa 40.000 utenze (secondo le fonti più a ribasso che ho trovato). Inoltre erano previsti giorni del mese e della settimana con particolari sconti sul biglietto onde favorirne l’uso per le classi più povere della popolazione. Per di più la linea ferroviaria Napoli-Portici venne seguita da tratte fino a Nocera e Caserta, e il ramo che doveva collegare Salerno non venne ultimato a causa dell’invasione Piemontese. Erano stati avviati i progetti della tratta Napoli-Bari, opera di cui il “moderno” Stato italiano sta parlando solo di recente, interrotti dai moti rivoluzionari nel ’48 (un sentito grazie ai liberali).


Vi era anche l’intenzione di allacciarsi alla rete ferroviaria europea, ma venne bloccata dal rifiuto dello Stato Pontificio (da sempre favorevole al progresso) di far passare ferrovie per il proprio territorio.

Tuttavia, queste sono mie scoperte recenti: ciò che mi ha spinto a farmi molte domande e a cercare risposte differenti da quelle “ufficiali” è stato un altro dettaglio.


Si è sempre detto che il Sud aveva solo una manifattura di tipo artigianale, un’economia contadina; ho scoperto che il più grande complesso industriale dell’Italia pre-unitaria era quello di Pietrarsa. In tale stabilimento si costruivano locomotive e materiale ferroviario, occupava circa 700 operai (e vi sfido ai giorni nostri a contare complessi industriali di tali dimensioni nel nostro paese, figuriamoci nel 1840) e venne copiato dallo Zar Nicola I per la realizzazione del complesso ferroviario di Kronštadt.


Tale impianto era un’eccezione?


No! Basti considerare che i cantieri navali di Castellamare di Stabia furono i primi a realizzare navi con propulsione a vapore in Italia, senza considerare il complesso siderurgico di Mongiana (in Calabria), che occupava circa 1.500 operai, o la fabbrica d’armi, sempre nella stessa località, in grado di produrre 8.000 fucili al mese. Tutti centri industriali sorti lontano da Napoli, a confutare quello che sostengono alcuni, che gli interventi dei Borbone furono solo a beneficio della capitale.


La domanda sorge quindi spontanea:


Considerando che nel 1840 l’industria ferroviaria, o la siderurgia, erano l’apice della tecnologia, come poteva uno stato retrogrado e industrialmente atrofizzato dotarsi di simili complessi industriali?

Sono solo io a vedere una discrepanza in tale logica?

3. Inefficienza amministrativa

La domanda è la seguente:


Partendo dal presupposto anti-borbonico: come mai subito dopo il drammatico terremoto del 1783, che distrusse quasi 200 centri abitati in Calabria, venne varato un piano antisismico e una legge che regolava le costruzioni, al fine di prevenire il ripetersi di simili catastrofi? Quanti anni ci mise il lento e farraginoso governo meridionale a sviluppare tutto ciò? Precisamente già nel marzo del 1784 la legge era approvata con tutti i dettagli tecnici e messa in pratica. Qualcuno potrà obiettare sulla bontà delle soluzioni approvate, ebbene: recenti studi del CNR (Consiglio Nazione delle Ricerche) dimostrano che i tecnici borbonici avevano sviluppato pratiche più che adeguate, dimostrate anche dal fatto che il successivo disastroso terremoto di Messina aveva lasciato in buone condizioni solo le costruzioni realizzate seguendo quelle soluzioni tecniche.


Un solo anno per una legge antisismica, quando nell’Italia attuale ogni sei mesi viene cambiata la normativa in merito alla certificazione energetica degli edifici? Non so voi ma io farei a cambio ad occhi chiusi.


Come mai i primi a varare una legge sul riciclaggio furono proprio i Borbone di Napoli? Alla faccia di chi parla di inciviltà e sporcizia endemiche nella cultura napoletana; lo scrittore tedesco Goethe ebbe modo di ammirare e raccontare dell’efficienza della legge e di come fosse applicata anche nelle campagne: in particolare, annotò il recupero delle derrate alimentari in eccesso poi ridistribuite ai più bisognosi. La legge da me citata, infatti, non si limitava al riciclaggio di vetro e materiali metallici, ma comprendeva anche il cibo, oltre a stabilire che ogni negozio, bottega artigianale e abitazione erano responsabili della pulizia dei cortili e marciapiedi su cui affacciavano.


Una cosa è sicura: l’Italia non è migliorata col tempo; basti pensare ai permessi necessari per fare un semplice lavoro di ristrutturazione in casa, i tempi biblici della nostra giustizia, o a cosa si può arrivare per il semplice cambio di un contatore dell’acqua (mio padre è stato costretto di recente a contattare 5 enti differenti per questo). Chiunque abbia a che fare con un ufficio pubblico in Italia potrà fare esempi calzanti senza neanche pensarci troppo a lungo.

4. Latifondismo e ingerenze clericali

Il Sud pagò a carissimo prezzo i secoli passati sotto il giogo spagnolo, francese, austriaco, ad alternanza; si trattava di potenze lontane e consapevoli che il meridione era difficilmente difendibile e che andava tenuto più per sottrarlo all’avversario che per altri motivi.


Come mantenere un possedimento del genere senza impiegarvi troppe risorse?


Semplice: basta dare poteri straordinari ai vari baroni e nobili locali: in tal modo sarà loro interesse far sì che la popolazione rimanga sotto controllo, dato che a un eventuale cambio di bandiera rischierebbero di perdere tali privilegi. Tutto ciò ha portato a un perdurare del sistema di tipo feudale e un’assenza di un vero e proprio Stato centrale, e in questo contesto si ritrovò ad operare Carlo III di Borbone quando ebbe il trono di Napoli.


Il regno di Napoli (prima di diventare delle due Sicilie) nacque per una serie di fortuite coincidenze politiche, ed era estremamente fragile sia verso i nemici esterni che quelli interni; nonostante ciò, Carlo III cercò sin da subito di intaccare il sistema feudale senza al contempo perdere l’appoggio della nobiltà, di cui aveva bisogno.


Riuscì a ridurre notevolmente i possedimenti dei latifondisti, privò i nobili della possibilità di annullare le condanne dei tribunali (cosa che, in pratica, dava loro diritto di vita e di morte su chiunque), respinse il tentativo di portare l’inquisizione a Napoli, oltre ad intaccare i notevoli privilegi del clero. Molti contestano che non riuscì a fare abbastanza; forse è così, ma cambiamenti troppo radicali in un regno neonato e fragile sarebbero stati probabilmente fatali.


Sotto Ferdinando IV, poi, vi fu la cacciata dei Gesuiti dall’intero Regno delle Due Sicilie, divenuti scomodi, dato che avevano in mano l’intero sistema educativo duosiciliano e ne impedivano lo sviluppo, oltre ad essere una forza politica ed economica ostile alla corona. Strana mossa per un regno sottomesso al clero, non trovate? La tentazione di fare paragoni con l’attualità è molto forte, ma richiederebbe altri cento articoli.

Fig. 2 - Ritratto di Bernardo Tanucci, segretario di stato di Ferdinando IV e principale fautore della cacciata dei gesuiti dal Regno delle Due Sicilie.


Rimane innegabile che l’ufficiale abolizione del feudalesimo si ottenne solo dopo l’invasione napoleonica e i regni di Giuseppe Bonaparte e di Murat, ma i Borbone, una volta reinsediatisi, conservarono le innovazioni francesi approfittandone per ridurre ulteriormente il potere della nobiltà. Fossero stati così retrogradi e amanti del feudalesimo avrebbero cancellato le innovazioni francesi, non vi pare?


Forse non fu fatto abbastanza, ma riflettete un momento sul contesto storico di cui si parla: i Borbone ebbero due invasioni napoleoniche, continui moti rivoluzionari, la rivoluzione francese e il moto anti-monarchico conseguente, la costante minaccia dei liberali, l’insoddisfazione perenne dei Siciliani, furono costretti a lasciare Napoli e a riconquistare la Sicilia più volte.


Nonostante le oggettive difficoltà e l’instabilità del loro trono, nei fatti, cercarono sempre di ridurre il potere dei nobili, quando sarebbe stato più facile (e più sicuro per loro, vista la facilità con cui il popolo si appassionava alle idee rivoluzionarie) incrementarlo.

5. La costituzione e il sonno degli idealisti

Quest’estate ho letto un articolo (non ricordo il giornalista) che delirava sul fatto che secondo lui il 1848 è stata una grande occasione persa per il Sud perché non venne ratificata la costituzione, come invece accadde in Piemonte che, in tal modo, ci superò in civiltà.


Sarò io, attaccato alla mera praticità delle cose e teoria-fobico (passatemi il termine), ma non credo che la civiltà si misuri da degli ideogrammi di inchiostro su un pezzo di carta.


In che modo quella costituzione, sbandierata dai sostenitori del risorgimento, ha protetto chi è stato massacrato dai bersaglieri a Pontelandolfo, Casalduni, Auletta, Ruvo del Monte, Montefalcione?


Ha forse impedito i tribunali speciali, in cui si condannavano anche innocenti, istituiti da Bixio, come successo a Bronte?


In che modo quella costituzione, che sanciva l’uguaglianza, ha protetto gli operai di Pietrarsa che protestavano contro lo smantellamento dell’impianto e vennero ripagati a fucilate?


In che modo ha fermato la repressione violenta della rivolta di Palermo del 1866 o l’invio da parte di Crispi dell’esercito contro gli scioperi nel 1892?


Come giustificare le leggi a favore della repressione del brigantaggio che davano mano libera alle rappresaglie, alle razzie e a stupri punitivi verso i centri abitati sospettati di appoggio ai briganti?


Evidentemente qualcosa non quadra! Evidentemente non è la costituzione o la sua assenza a cambiare l’atteggiamento di un governo verso il proprio popolo né tantomeno il suo livello di civiltà.


La giustificazione più sagace che ho ricevuto sulle mie domande è che tempi difficili richiedono soluzioni difficili.


Devo citare il grande comico George Carlin quando diceva, a proposito della costituzione:


“… se possono levarci i nostri diritti quando vogliono … allora non abbiamo diritti, ma solo privilegi temporanei!”

6. Fratelli d’Italia

Guardando la storia del nostro paese, risulta chiaro a tutti quanto la definizione di “popolo italiano” sia quanto meno dubbia: la penisola è sempre stata culturalmente e politicamente divisa. Cosa avevano in comune i Duosiciliani con i Piemontesi?

Poco e nulla, neanche la lingua era in comune: in Piemonte la lingua più diffusa nell’amministrazione era il francese, nel Regno delle Due Sicilie il napoletano (che non è un semplice dialetto ma una vera e propria lingua, come riconosciuto dall’UNESCO).

Inoltre se eravamo così “fratelli divisi da monarchi cattivi” perché si è dovuti ricorrere a repressioni e una vera e propria invasione militare?

Perché si è dovuto screditare per secoli, continuando tutt’ora, metà di quel paese? Perché gli scrittori anti-borbonici in ogni loro libro calcano il disprezzo parlando dei civili e dei soldati duosiciliani che non vollero seguire i generali e gli ammiragli che tradirono il proprio re?

Perché si è nascosto che i cosiddetti “briganti” erano in realtà attuatori di un movimento di resistenza che combatteva per il proprio paese?

Perché i soldati e i marinai duosiciliani rifiutarono di seguire i propri comandanti traditori? Perché scelsero di soffrire la fame e la morte durante il lungo assedio di Gaeta?

Perché Garibaldi prima, e Cialdini dopo, dovettero ricorre alla camorra e ai signorotti locali per conservare tranquille le proprie retrovie mentre avanzavano verso Napoli e Gaeta?

Perché durante il referendum tenuto nel sud, per l’unione con il Regno di Sardegna, fu fatto votare (anche più volte) agli stessi garibaldini e ai soldati piemontesi? Che bisogno c’è di barare se sei sicuro di vincere?

Nella mia lista ho tralasciato gli episodi più dubbi, come la composizione dei volontari siciliani a Calatafimi, gli effettivi morti avvenuti nel carcere di Fenestrelle, ove vennero rinchiusi i soldati borbonici che rifiutarono di farsi integrare nell’esercito del neonato Stato italiano. Su questi argomenti ho trovato dati troppo in contrasto tra di loro per esprimere un’opinione sicura, quindi preferisco sorvolare in attesa che la ricerca storica fughi ogni dubbio.

Chiuderò il paragrafo con alcune frasi (che costituiscono solo una piccolissima parte di quelle da me trovate), di pura fratellanza, attribuite a “patrioti” e politici italiani dell’epoca:

  • "Al sud i nemici non basta ucciderli, bisogna straziarli, bruciarli vivi a fuoco lento, è un paese che bisogna distruggere o almeno spopolare, mandarli in Africa a farsi civili." (Nino Bixio … generale, politico, patriota)

  • "Il meridionale non ama i liquori. Si sente ebbro dalla nascita: il sole, il vento, gli distillano un terribile alcool naturale, di cui tutti quelli che nascono la giù ne sentono gli effetti." (Cesare Lombroso…medico, giurista)

  • "Che barbarie!, Altro che Italia! Questa è Africa: i beduini a riscontro di questi cafoni, son fior di virtù civile." (Luigi Carlo Farini … politico, presidente del consiglio del Regno d’Italia)

  • "Mi avete mandato, nel Napoletano, tra i negri. Meglio, mille volte meglio i negri dell'Africa del Sud." (Costantino Nigra … politico)

  • "L'inferiorità del contadino meridionale è un prodotto storico ... qual meraviglia se il suo temperamento si è volto al male, se l'acutezza della mente ha degenerato in frode, la forza in violenza, l'amore in libidine?" (Giuseppe Massari … patriota, politico)

Fig.3 – Altro esempio di “fratellanza”: uno scorcio del museo Lombroso di Torino (finanziato dallo Stato) in cui giacciono esposte le teste di “briganti” e “criminali meridionali”, esposte assieme alle deliranti teorie di quel pazzo.

7. Un regno corrotto, malviventi nell’indole.

Che la corruzione sia un dato caratteristico dei governi autoritari (non che le democrazie attuali ne siano immuni) è un dato di fatto, quindi non fa eccezione la monarchia assolutistica borbonica.


A riprova di ciò vi è il fatto che Francesco II (ultimo re borbonico) venne tradito da praticamente ogni uomo politico e militare dotato di incarichi di rilievo.


Tuttavia, se è appurato che lo Stato borbonico era afflitto da un certo grado di corruzione e malaffare, in che modo lo Stato italiano, che è uscito fuori dalla sua caduta, può essere giudicato migliore?


Dopotutto la totalità di quei bravi signori che tradirono Francesco II, dimostrando totale mancanza di lealtà e di senso dello Stato, vennero integrati nella nascente macchina amministrativa e militare italiana.


In che modo chi corrompe è migliore di chi viene corrotto?


In che modo uno Stato che vanta tra i suoi esponenti il signor Liborio Romano, ossia colui che ha dato le chiavi di Napoli alla camorra, è meno corrotto di altri?


Ho sorpreso qualcuno con quest’ultima domanda?


Quanti tra di voi, specie se settentrionali, sono convinti (anche inconsciamente) del fatto che al sud mafia, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita, sono fenomeni caratteristici e presenti da sempre?


Sino a prova contraria la camorra, all’epoca dei Borbone, era un fenomeno criminale non differente da quelli tipici di tutte le altre grandi città del tempo: il salto di qualità lo fece grazie al losco figuro da me citato.


Questo bravo signore prima convinse con l’inganno Francesco II a evacuare Napoli, così in fretta da dimenticarvi il tesoro poi razziato dai piemontesi; poi consegnò la città a Garibaldi, che lo nominò prefetto. Fu in questo periodo, rendendosi conto che la popolazione non era poi così favorevole al nuovo corso unitario, che Liborio prese contatti con la camorra, e assegnò al capo indiscusso di allora, tal Salvatore De Crescenzo detto “Tore ‘e Crescienzo” e ai suoi affiliati, il compito del mantenimento dell'ordine pubblico nella capitale, invitandoli ad entrare nella "Guardia cittadina", in cambio dell'amnistia incondizionata, di uno stipendio governativo e di un "ruolo" pubblicamente riconosciuto. Concessioni che portarono il De Crescenzo ad essere considerato come "il più potente dei camorristi".


Questi bravi signori vigilarono anche sul famoso referendum di annessione e, come ebbe modo di scrivere Giuseppe Buttà, cappellano militare dell'esercito borbonico: ”Dopo il Plebiscito, le violenze de' camorristi e dei garibaldini non ebbero più limiti: la gente onesta e pacifica non era più sicura né delle sue sostanze, né della vita, né dell'ordine.”


Il sottoscritto è stato ulteriormente scosso in molte delle sue convinzioni dalla scoperta che, a quanto pare, il primo atto ufficiale in cui si nomina la mafia risale al 1865 (ossia ben dopo l’unità), in un documento riservato firmato dal prefetto dell’epoca, tale Filippo Gualtiero.


Dubito che prima di tale data non esistessero fenomeni di stampo mafioso, ma quanto meno mi sovviene il sospetto che abbiano preso la forza che tutti noi conosciamo solo in seguito a tale data. Del resto quello che Liborio Romano fece a Napoli, era già stato fatto prima in Sicilia, ossia: dare potere a signorotti, malviventi, o chiunque disponesse di un certo controllo del territorio, per silenziare in anticipo eventuali capi-rivolta anti-sabaudi, mazziniani o filo-repubblicani più in generale.

8. Conclusioni


Nella premessa ho già anticipato che non intendevo fare un articolo di stampo revisionistico e filo-borbonico, fine a se stesso. Ad alcuni di voi potrà essere sembrato così, altri potranno averlo interpretato come un “settentrionali brutti e cattivi”.


Non ho mai voluto intendere che il Regno delle Due Sicilie fosse migliore di tutto il resto d’Italia, ma di certo non era peggiore (come tramandatoci dalla storiografia unitaria).


Era un regno con enormi contraddizioni e problemi, che stava lentamente cercando di risolvere, forse troppo lentamente. Di certo questo processo di guarigione è stato stroncato dall’invasione piemontese, il che, badate bene, non è un alibi per i meridionali (tutt’altro).


Può essere sgradevole, e per me lo è stato, rendersi conto che l’Italia è stata costruita su una menzogna, una bugia nata per coprire il fatto che, alla fine, l’unità non fu altro che un vero e proprio atto di vigliaccheria e bullismo, da parte di uno Stato (il Piemonte) che ne invase un altro, sapendo bene di avere le spalle coperte dal peggiore di tutti i bulli (l’Inghilterra).


Il colpo di classe di tutta la faccenda è stato riuscire a far passare la vittima per carnefice e il carnefice per munifico benefattore.


Che fare quindi? Ormai l’Italia c’è e se si vuole insistere a stare assieme non lo si può fare continuando a credere nelle bugie, lasciando che siano le fondamenta marce di un nazione destinata al crollo.

Il mio unico scopo era, ripeto, cercare di instillare almeno un dubbio su quanto ci è sempre stato raccontato; detto ciò, ognuno faccia i propri ragionamenti e tragga le proprie conclusioni.

Giuseppe Sorrentino

Bibliografia

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Alfonso Scirocco – In difesa del Risorgimento – Il Mulino, 1998

Alfonso Scirocco – Garibaldi. Battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo – Editori Laterza, 2009

Alessandro Barbero – I prigionieri dei Savoia – Editori Laterza, 2012

Giuseppe Campiolieti – Il re Bomba. Ferdinando II, il Borbone di Napoli che per primo lottò contro l’unità d’Italia - Mondadori, 2000

Giuseppe Campolieti – Il re <<Lazzarone>> -–Mondadori, 2000

Francesco Ogliari – Storia dei trasporti italiani, vol. 21° "Terra di primati" – Cavallotti Editore, 1975

Pier Giusto Jager – Francesco II di Borbone, l’ultimo re di Napoli – Il giornale edizione speciale, 2004

Gianni Oliva – Un regno che è stato grande, la storia negata dei Borbone di Napoli e Sicilia – Le Scie, 2012

Albero Mario Banti – Il risorgimento italiano – Editori Laterza, 2013

Pino Aprile – Terroni - PIEMME, 2010

Pietro Pieri – Storia militare del risorgimento Volumi 1&2 – Il Giornale edizione speciale, 2004

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